A Venezia 78 vive lo spirito del tempo presente. Le tematiche trattate nei film presentati sono attuali quanto mai. Preoccupano i registi e si pongono l’obbiettivo di sconvolgere il pubblico, tormentandolo di pensieri e lasciandolo con la consapevolezza che viviamo in un mondo colmo di immondizia, sia metaforicamente che realisticamente parlando. Lo shock, lo stupore e l’amarezza convogliano negli applausi infiniti che sostengono i titoli di coda di “7 Prisioneiros”, “Costa Brava” e “Illusions perdues”. Tre titoli che gareggiano separatamente alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, ma che concorrono allo stesso premio: lasciare una traccia e un desiderio di rivoluzione negli occhi di chi osserva ed esterrefatto non vuole arrendersi alla brutalità delle cose.
Si parla di cinema come denuncia sociale. Seppur la storia dei suoi protagonisti si sviluppi in maniera differente e, in caso di “Illusions perdues”, in un tempo passato, c’è qualcosa di forte che accomuna queste tre opere: il ruolo interpretato dalla città, scenografia immensa e pericolosa. Una città che sa illudere, riempiendo gli occhi dei sognatori di false speranze. Ammaliandoli con le innumerevoli opportunità lavorative che sa offrire e lasciandoli più poveri di prima. Ci sono città che svuotano l’anima e riempiono la mente di ambizioni poco etiche. Eppure in queste città è bello perdersi per assaporare un’effimera sensazione di libertà e aprire gli occhi sul mondo che abbiamo deciso di ignorare.
“Illusions perdues”: la città e il capitale
C’è lo zampino di Honore de Balzac in “Illusions perdues“, film in concorso a Venezia 78 adattato da Xavier Giannoli. Il regista francese si lascia guidare da un virtuoso della letteratura per condurre un’indagine accurata sui costumi della Parigi di inizio Ottocento. Il suo personaggio principale è Lucien (Benjamin Voisin), un’aspirante poeta che dalla noiosa provincia di Angouleme si trasferisce a Parigi per fare della sua passione una professione. E’ un viaggio a cui tutt’oggi siamo abituati, è il percorso scelto da chi cresce nelle province, che poco hanno da offrire, e cerca nella città il suo riscatto personale
Reduce dalla reazione clandestina con la marchesa D’Espar (Cécile de France), sostenitrice della sua penna, il giovane si ritroverà in una dimensione troppo grande per la sua vista miope. Le giuste conoscenze e l’indiscutibile talento per la scrittura lo porteranno ad una scalata sociale, che gli mostreranno la società per quella che è. Lucien si renderà presto conto del potere del capitale. Il denaro è fondamentale, è la benzina che può accendere o spegnere le ambizioni di chiunque. Le parole che imperversano sui giornali, le recensioni dei libri, degli spettacoli teatrali, i commenti sui personaggi più in voga non sono altro che merce acquistata al prezzo giusto.
Il capitale muove ogni cosa e lascia una scia di corruzione dietro di se. Non è la bellezza a trionfare nella Parigi dei mercenari, ma la cifra più altra. La stampa si riempie di quelle che oggi chiameremmo “fake news” e gli editori assecondano questo gioco ben programmato. In un contesto del genere, dove i fiori, i pomodori, i fischi o gli applausi regalati ad un’attrice non sono altro che mera esecuzione di una banale sceneggiatura, la poesia si spegne. Le belle parole svaniscono anche il Lucien, abbagliato dal luccichio del denaro. La sua penna è ora guidata dal profitto e dalla politica. La libertà di pensiero svanisce, così come la sua capacità di analizzare cosa realmente stesse accadendo.
Lucien si rende conto di essere finito in pasto agli squali. Coloro che reputava vicini, si sono dimostrati dei semplici approfittatori. Lui stesso si rende conto della sua disonestà intellettuale e di essersi venduto al miglior offerente. Della città che lo ha adottato ora non rimane più nulla, se non le illusioni di essersi sentito diverso, nobile, migliore. Probabilmente è stata tutta un’illusione ed è giusto riemergersi nella realtà che si può toccare con mano, quella della campagna: la madre imperfetta. “Illusions perdues” è un classico che rivive in tempi moderni e non potrebbe essere altrimenti.
“7 prisioneiros”: dietro le sbarre della città
Alexandre Moratto da uno schiaffo al pubblico, mostrando la brutalità di San Paolo nella sezione Orizzonti Extra. Il regista brasiliano racconta la difficile situazione di sette ragazzi di campagna, costretti a trasferirsi nella grande città per lavorare. In questo caso la caotica metropoli non rappresenta la dimensione entro la quale realizzarsi, ma un’oasi di speranza. I suoi grandi palazzi, così diversi dalle spoglie case di provincia, sono il simbolo di chi ce l’ha fatta, di chi, per lo meno, è riuscito a guadagnare dei soldi che gli permettessero di vivere, di acquistare dei beni di prima necessità, non di lusso.
Mateus (Christian Malherios) e i suoi compagni si dirigono verso San Paolo perché è l’unico posto che offre lavoro. Non vogliono realizzarsi professionalmente, ma poter vivere dignitosamente e sostenere le proprie famiglie. Una volta arrivati sul posto di lavoro si renderanno, però, conto di essere stati ingannati. Luca (Rodrigo Santoro), il loro capo, è in realtà uno schiavista che gestisce un traffico di umani. I sette sono ora circondati da una montagna di rottami da smaltire, difficile da scalare e soprattutto da abbandonare.
In questo caso il lavoro non nobilita l’uomo, ma lo rende schiavo. Non ci sono diritti, esiste solo il dovere di alimentare la potenza di loschi giri. Una volta entrati in prigione è difficile uscirne. Si rischierebbe di essere perseguitati dai demoni incontrati e di non avere alternativa al peggio. Quando la povertà incontra il denaro si vede costretta a fare una scelta: o con lui o senza di lui, sperando, però, di sopravvivere. Mateus sa di essere in trappola quando il capo lo promuove a suo assistente personale. Non è comunque libero, ma per lo meno potrà aiutare la sua amata famiglia. Non è la vita di città che si aspettava, ma è pur sempre meglio della campagna. In “7 prisioneiros” vince l’istinto di sopravvivenza e l’etica è inghiottita dall’inquinamento della città. Tratto tristemente da una storia vera, che affligge il Brasile giorno dopo giorno.
“Costa Brava”: il pattume delle città invade la campagna
In “Costa Brava” Beirut non è la città dove i sogni diventano realtà, ma il caos dal quale rifugiarsi. Nel film in concorso nella sezione Orizzonti Extra e diretto dalla regista Mounia Akl la famiglia Bradi trova la sua dimensione utopica nella tranquilla campagna libanese. In questo racconto la città non viene idealizzata, ma demonizzata. La capitale è irrequieta, sporca e mal funzionante. I sacchi dell’immondizia rendono putride le sue strade e uccidono i sapori del cibo. L’unico modo per vivere dignitosamente è costruirsi un luogo eterotopico, che esista, ma si allontani dal pattume sociale.
L’isolamento forzato, il quieto vivere che si respira sotto gli alberi da frutto e immersi nell’incantevole piscina della casa, sono, però, una mera illusione. Nessuno può sfuggire alla prepotenza di una politica che fa del profitto la sua unica missione. La smaltimento illegale della spazzatura porta denaro e non conosce confini. La città si trasferisce, dunque, in campagna e la contamina con i suoi sacchi colorati e maleodoranti. Insieme a loro arrivano anche gli uomini, in grado di insinuare nei giovani componenti del nucleo familiare curiosità nei confronti della vita sociale.
La famiglia Bradi ha vissuto nella bugia di una vita migliore, ma la realtà ha saputo superare l’illusione. Preservare l’amore, privandolo della sofferenza, non è una soluzione efficace. Con l’immondizia arriva la consapevolezza di far parte di una comunità, nel bene o nel male che sia. Fuggire non è la soluzione per risolvere i problemi poiché il marcio si sposta insieme ai suoi viaggiatori. Talvolta il percorso può essere a ritroso e condurre l’uomo dalla cupa città al verde brillante della campagna.
Marta Millauro
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