Moda

Vinted & Co., pregi e difetti delle applicazioni di reselling

Non lo metti? Mettilo in vendita! Con questo slogan, dal 2 dicembre 2020, Vinted è diventato familiare agli italiani di tutte le età.  In realtà, web e social media bombardano già da anni gli utenti più giovani con applicazioni di reselling come Depop ed eBay. Tuttavia, se da un lato dilaga online il dibattito “consumismo” contro “minimalismo”, dall’altro resta inesplorato quanto avviene in back end. Molti, infatti, lamentano di essere vittime di molestatori tramite queste piattaforme. Altri clienti, invece, hanno finanziato i loro viaggi con il riciclo di vestiti usati. Ma procediamo con ordine.

Hanno poco più di 20 anni ma idee molto chiare Milda Mitkute e Justas Janauskas quando, nel 2008, sviluppano un piccolo sito chiamato “Vinted”. L’applicazione, lanciata negli Stati Uniti a soli due anni dalla sua fondazione, ha visto crescere esponenzialmente il suo fatturato negli ultimi 10 anni. Nel marzo 2021, infatti, la società risulta avere 701 dipendenti, un fatturato di 32 milioni di dollari ed un valore di mercato di 1 miliardo. Ma quali sono i risvolti della crescita di questo mercato?

Reselling

Rivendere propri oggetti ormai inutilizzati è un fenomeno in costante crescita da metà degli anni novanta su tutte le piattaforme. Infatti, quando nel 2008 i due giovani lituani fondano Vinted, eBay ha già 13 anni mentre alcuni fenomeni come Depop o il reselling di sneakers in edizioni limitate che YouTube ha reso noto arriveranno di lì a poco. Depop, in particolare, è popolare tra millennials e zoomers per due ragioni. La prima è che rappresenta per molti ragazzi un ingresso collegato al riciclo di prodotti che non desiderano più. La seconda è che l’interfaccia, la home e la stringa di ricerca sono simili a quelle di Instagram garantendo così un feeling familiare da social media. Alcuni di questi giovani, comunque, non hanno ancora raggiunto la maggiore età eppure sono già esposti ad anomalie, positive e negative, di questi sistemi operativi.

Molestie

Il sito americano “Business of fashion” riporta le esperienze di alcuni adolescenti che hanno subìto molestie tramite l’applicazione Depop. «Le richieste che pensavo dovessero riguardare i miei articoli – racconta un giovane –  riguardavano invece i miei piedi o il mio corpo». Lo stesso ragazzo prosegue sostenendo: «Ho venduto a minorenni e i loro genitori di sicuro non sanno quale tipo di messaggi stanno ricevendo». Sebbene la piattaforma applichi una politica di tolleranza zero verso queste trasgressioni consente (articolo 4.2 dei “Terms of Services”) agli utenti dai 13 anni in su di unirsi alla community di social shopping. I pagamenti invece vengono elaborati tramite PayPal, dove l’età minima richiesta è 18 anni. Molti utenti quindi si registrano tramite gli account PayPal dei genitori. Nemmeno il “veterano” eBay sembra essere privo di questo genere di problemi. Anzi. Il target sono, loro malgrado, giovani donne. Sembrerebbe infatti che l’uso di determinati aggettivi nella descrizione dei prodotti veicolerebbe molestatori. Parole come “usato”, “ben indossato”, “privato” o “trasparente” sono tra le più comuni.

Vantaggi

Non è infrequente, d’altro canto, verificare i benefici di questa forma di commercio digitale. In primo luogo si inserisce in una spirale virtuosa di economia circolare ormai molto sentita. Alcuni utenti inoltre hanno trovato nel reselling la fonte di finanziamento per viaggi e la possibilità di cambiare con una maggior frequenza i capi nel proprio armadio. Questo costante pompaggio di vestiti in ingresso ed in uscita, comunque, pone l’accento su un ultimo aspetto.

Consumismo vs. Minimalismo

Dal 1 aprile è disponibile su Neflix la docuserie “Worn stories”, tratta dagli omonimi romanzi che Emily Spivack scrisse nel 2014. Il Guardian ha definito questo fenomeno come “l’anti Marie Kondo”. Gli otto episodi sono infatti una risposta all’onda di minimalismo avviata dal libro “Il magico potere del riordino” e scritto appunto dalla giapponese Marie Kondo. Il conflitto tra consumismo e minimalismo ancora non sembra trovare una soluzione definitiva se non quella di lasciare a ciascuno una libera scelta, purché informata.  

di Serena Reda

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