I primi anni ’80 per lo sport romano sono un vero e proprio sogno ad occhi aperti. Riesce quasi tutto. In tre annate Roma, centro indiscusso della storia, apre un nuovo capitolo di conquiste. Per una città con un DNA del genere dovrebbe essere una cosa abituale. Invece, nello sport i successi sono arrivati sempre altrove. Quel nord ricco e sempre più potente aveva fatto razzia anche nelle speranze dei tifosi del resto d’Italia. Tanto che tra Roma, Lazio e Virtus Roma, il tricolore si è posato soltanto due volte sulla “Città Eterna”. La prima nel 1942, grazie alla Roma guidata in panchina da Alfréd Schaffer e in campo da Amedeo Amadei, e la seconda, invece, nel 1974 con gli odiati “cugini” della Lazio di Tommaso Maestrelli e Giorgio Chinaglia. Un bottino decisamente misero per la Capitale d’Italia. Tra il 1983 e il 1985, però, Roma è tornata a fare la voce grossa sia in Italia che fuori dai confini nazionali.
1983: Roma fa da padrona
E’ successo tutto così in fretta. Forse troppo. Un mordi e fuggi durato tre anni, ma che rimane unico per gli aficionados romani sia del calcio che della pallacanestro. Dopo un’estate indimenticabile, culminata con il successo azzurro di Spagna ’82, nella stagione seguente si verifica l’impensabile. Nel 1983, a Roma, è un festeggiamento continuo. Il calcio regala emozioni fortissime, con lo Scudetto della Roma di Nils Liedholm. Un vero e proprio rivoluzionario del gioco.
Tra i primi ad adottare, con continuità, la disposizione difensiva a zona. Ma non era, però, il solo “genio” ad infiammare le platee della capitale. Al PalaEur la panchina era occupata da un “Vate”. E quando tutti ti riconoscono questo appellativo, ciò la dice lunga sulle capacità tecniche e umane del soggetto in questione. Stiamo parlando di Valerio Bianchini. Capace di regalare al popolo Virtus uno storico, e al momento unico, tricolore. La data è quella del 19 aprile 1983, ma non sarà il solo anniversario a rimanere impresso nei ricordi degli amanti della palla a spicchi romana…
Virtus Roma, un americano come guida
Il Banco Roma, in virtù del leggendario Scudetto dell’anno precedente, si affaccia dunque alla prima avventura in Coppa Campioni. Il roster ha una forte componente italiana. Dal capitano Fulvio Polesello, al leader carismatico Enrico Gilardi ed un giovane Stefano Sbarra. A fare da chioccia a questo gruppo made in Italy ci sono, però, due americani di grande spessore. Clarence Kea, pivot prelevato l’anno prima dai Detroit Spirits e rivelazione dei play-off Scudetto, tanto da neutralizzare un certo Dino Meneghin. Ma la vera e propria star è un play di soli 185 cm dotato di un talento smisurato. Si tratta di Larry Wright. Sbarcato a Roma nell’estate dell”82, dopo essere stato vicino al ritiro dopo 6 anni di NBA. Impreziositi dall’anello conquistato a Washington nel 1978.
Valerio Bianchini, però, ha creduto fortemente nelle sue capacità. Tanto da volare personalmente in Lousiana per convincerlo ad abbracciare il progetto del Banco. E da lì Wright diventa il punto fisso di un team ambizioso. Al primo anno in Italia chiude in cima alla classifica marcatori, guidando la Virtus alla conquista del titolo. Non male come biglietto da visita. Ma il suo lavoro non è ancora giunto al termine. Nella stagione 1983-1984 il Banco Roma fatica più del previsto in campionato. Nono posto e mancato accesso ai play-off. E’ in Coppa Campioni che i ragazzi di Bianchini danno il meglio di sè.
Virtus Roma, l’esordio in Coppa Campioni
La Virtus Roma supera in scioltezza i due turni di qualificazione. Asfalta prima, nella doppia sfida, i lussemburghesi del Dudelange, poi è la volta degli albanesi del Partizani Tirana. Passa, quindi, al girone di 6 squadre in cui sono inserite Cantù, campione d’Europa in carica, il Bosna Sarajevo, gli israeliani del Maccabi Tel Aviv, i francesi del Limoges e il Barça guidato da San Epifanio. Il Banco chiude primo, in coabitazione con i blaugrana, con 7 vittorie in 10 gare. Saranno, dunque, le due compagini di testa ad affrontarsi nell’atto conclusivo del torneo. La finale andrà in scena il 29 marzo al Patinoire di Ginevra.
Il Barcellona parte nettamente con i favori del pronostico. La Virtus, alla fine, è una nuova arrivata nel panorama internazionale. Alcuni giocatori, a parte Wright, non hanno mai giocato partite di questo valore. E anche fisicamente, i catalani, sono un’altra cosa. Sotto canestro non ci dovrebbe essere partita. La gara parte, infatti, subito in salita per i capitolini. Il Barça, guidato dai 31 punti e 5 assist finali di San Epifanio, raggiunge il massimo vantaggio di 13 punti. All’intervallo il risultato è di 42-32. E’ una situazione complicata. Valerio Bianchini dovrà, dunque, studiare delle contromosse per architettare l’insperata rimonta.
Roma Caput Europa
Il “Vate” sa bene che difficilmente capiterà un’occasione del genere. Ci tiene. Ci tiene tantissimo. Deve tutto alla sua città adottiva. Quella Capitale che l’ha accolto nel 1974 dopo aver abbandonato la sua Milano. Ha iniziato, così, alla Stella Azzurra, fucina di grandi talenti, dove ha potuto plasmare anche le sue idee. Poi ha lasciato Roma per accasarsi a Cantù. Un’esperienza incredibile, che gli ha permesso di conquistare uno Scudetto, una Coppa Coppe e una Coppa Campioni. Dopo la Virtus guiderà Pesaro verso un altro miracolo. Il primo Scudetto del 1987, in un città simbolo della nostra pallacanestro.
Ora è il momento di sdebitarsi con la sua città adottiva. Il “Vate” dà carta bianca al suo fenomeno. Larry Wright è tra i più nervosi al rientro negli spogliatoi. Il play della Lousiana si carica, dunque, il Banco Roma sulle spalle. Nel secondo tempo è un Wright-show. Produce numerose azioni offensive, finché, a metà ripresa, realizza il canestro del sorpasso. Ma Wright non ha proprio intenzione di smettere. E’ una piaga per la difesa blaugrana. I punti della vittoria li metterà a segno Sbarra. Due liberi che chiudono il match sul 79-73 finale. Il Banco Roma si laurea Campione d’Europa. E’ la prima volta per un’esordiente nella competizione. Ma non solo. La Coppa Campioni non era mai stata conquistata da una squadra che non fosse della Lombardia. Inserendosi, dunque, nel triumvirato di Varese, Milano e Cantù.
Virtus Roma, giù il sipario con l’Intercontinentale
E’ mancata soltanto la ciliegina sulla torta. I calci di rigore non hanno permesso una nuova doppietta. Questa volta più prestigiosa. La Roma del calcio è andata a un passo da alzare al cielo la Coppa Campioni. La finale si è disputata in casa. La gara dell’Olimpico ha, però, premiato il Liverpool. Una beffa atroce. Sarebbe stata un’apoteosi. Ci si può comunque consolare con l’impresa compiuta dalla Virtus. Bianchini&co. hanno messo Roma sulla mappa del grande basket europeo. Qualcosa di irripetibile. Il cerchio si chiude, poi, a settembre. Il Banco da una seconda lezione al Barcellona e conquista la Coppa Intercontinentale.
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