Vittorio De Sica, attore per quarant’anni e regista per trenta. Passano le mode, le società con le loro metamorfosi, ma resta l’immagine iconica di lui dietro la macchina da presa. Quell’occhio strizzato, puntato sul Neorealismo. Lo sguardo visionario e innovatore dietro l’obiettivo. “Il regista può essere tutti i personaggi”, diceva. Rivendicando quel suo modo di essere, quella libertà di sentire e vedere. Senza le costrizioni di produttori e del mercato. Il meglio di se, da esprimere, prima di tutto. 

Con Cesare Zavattini, suo complice, rivoluziona il cinema italiano; cuore e mente insieme, anche in contrasto con lui, come ragione e sentimento lo sono per antonomasia. “Sciuscià”, è la storia dei più piccoli, colpiti dalle avversità della guerra. Che lustravano le scarpe dei militari americani, e, per queste ed altre sofferenze infantili proiettate, si giudicò inverosimile e tragica la pellicola. Tra gli oppositori del film, si distinse L’Osservatore Romano, scrivendo che l’odissea dei due piccoli accattoni, dava “un senso di ripugnanza, oltreché di rammarico e pena”. Era, in realtà un film-messaggio, per stimolare il mondo a prendere coscienza delle sue colpe. Invitandolo alla responsabilità. “Sciuscà”, è poesia nuda e cruda, è verità quotidiana, senza costruzioni. Tutto essenziale e disadorno, come il Neorealismo vuole. “Perché, i ragazzini non ce l’hanno un avvenire?” Chiedono i due sciuscià, nome che deriva dall’inglese e vuol dire lucidascarpe.     

A De Sica l’Oscar per “Sciuscià”

“Sciuscià”, film di Vittorio De Sica – Clip YouTube

Ladri di biciclette“, fu il racconto del vero, per le strade di Roma, con gente improvvisata, attori non professionisti. A rincorrere con pena e spasmi di cuore, l’unica bicicletta in uso all’attacchino comunale; rubatagli, e senza la quale, era incapace di svolgere il lavoro. Il drammatico delle situazioni quotidiane, nella vita italiana dell’immediato dopoguerra, viene mostrato al pubblico. Gli spettatori, abituati ai film degli anni del ventennio fascista, o ai grandi spettacoli di Hollywood, erano forse impreparati. Ma, De Sica, pur di realizzare l’opera, investì il proprio denaro nella produzione.

Il cinema, nella macchina da presa, diveniva il mezzo più adatto per captare stati d’animo, angosce, considerate fin allora, troppo comuni, banali, per essere spettacolarizzate. Questo, il “dramma” del Neorealismo, che non tutti erano capaci, o disposti, a comprendere. “Umberto D“, è il film che De Sica ammette di amare più di ogni altro. Riconosciuto in seguito un capolavoro, ma solo una piccola parte di italiani aveva avuto il coraggio di vederlo. Sarà per l’oppressione al cardiopalmo, per il messaggio struggente che si insinua nell’animo, e che neanche un finale lieto riesce a rasserenare.Ad esempio, la scena girata all’ospedale San Giacomo, a Roma, era fra tutti malati veri in corsia.

“Umberto D” dedicato al padre di De Sica

“LADRI DI BICICLETTE”, film di Vittorio De Sica – Trailer – Clip YouTube

“Un miracolo di libertà” che non si ripeterà mai più, furono per Vittorio De Sica, i suoi film. Combattere con i produttori che dettavano condizioni, era l’ordinario. Così come avvenne per “Il viaggio“, ultimo dei suoi lavori, dove, al desiderio di realizzarlo alla maniera in cui Pirandello l’aveva scritto, arido secco e misero, vinse lo stile hollywoodiano, con i divi Richard Burton e Sophia Loren.

La ciociara” valse il premio Oscar alla Loren. “L’Oro di Napoli“, fu la storia “delle pietre e della gente”, “delle pizze a credito”; di Don Ersilio Miccio che vende saggezza, che per pochi spiccioli dà consigli proverbiali a fidanzati gelosi, militari innamorati e parrocchiani in cerca di una frase a effetto. Il quartiere di Napoli, verace in tutto, farà la sceneggiatura. Fino a “Il giardino dei Finzi Contini“, che contestò lo stesso autore del romanzo, Bassani. Chiedendo ed ottenendo, che venisse tolto il suo nome dai titoli di coda del film. Non si è mai grandi abbastanza per rileggere le pagine o rivedere il film “Il giardino dei Finzi Contini“. Gli amori, le passioni, sono come turbini, difficili da dominare nell’adolescenza. Che non saranno meteore passeggere presto dimenticate. Né la giovinezza, sarà mai così breve da contenere o consumare i sentimenti. De Sica ne farà un film senza tempo. Dove la spensieratezza è lo svago prediletto. E il tempo è scandito dal rimbalzo di una palla. Tutto sembra futile ma è vita. Ma è esistito realmente questo giardino?

L’oro al cinema…

“Umberto D”, film di Vittorio De Sica-Trailer – Clip YouTube

“E siccome queste, lo so, non erano che parole, le solite parole ingannevoli e disperate che soltanto un vero bacio avrebbe potuto impedire di proferire, di esse, appunto, e non di altre, sia suggellato qui quel poco che il cuore ha saputo ricordare”. De Sica vinse l’oscar nel 1972 con “Il giardino dei Finzi Contini“, come migliore tra gli stranieri. Nonostante la sceneggiatura lo lasci intuire, del ‘tradimento’ nel film, non si avrà mai la certezza. Ma fuoco e fiamme sono nel cuore del protagonista. L’epigrafe del libro spiegherà meglio di qualunque altre parole, quale purezza e mistero la storia vuol suggerire: “Certo, il cuore, chi gli dà retta, ha sempre qualche cosa da dire su quello che sarà. Ma che sa il cuore? Appena un poco di quello che è già accaduto.”

Ma il sangue napoletano di De Sica, anche se nato a Sora così lo definiva, gli assicurò una carriera da attore, senza eguali. Dalla scanzonata commedia, viveur dell’umorismo, fino al guappo napoletano e gentiluomo. Tutte sue interpretazioni. Con le costanti di umanità e garbo nel recitare. Nella serie di “Pane e amore“, sarà il maresciallo dei carabinieri. Alla voce ” Marescia’ “, nel cinema risponde solo lui: quel dongiovanni un po’ frivolo, tutto istinto e malizia. Immortale visione nella divisa da carabiniere, un po’ fatuo, e pittoresco seduttore. Con Sophia Lorenla margiassa“, o la “bersaglieraGina Lollobrigida, che ognuno completi il titolo “Pane, amore e…“, con ciò che più amerà di questo film. Come se ci fossimo separarti soltanto ieri da questa pellicola, da quelle schegge di colore che dipingono la costiera e la giovinezza. Dove c’è molto sentimento in ogni sua cosa.

De Sica, il miracolo della libertà

“Pane, amore e…”, film del 1955 con Vittorio De Sica – Clip YouTube

Il tempo ci ha dato modo di scoprire e amare Vittorio De Sica. Per quel modo, che è arte, di andare in profondità, fingendo di restare in superficie. Con quella voce, che ha l’impostazione della commedia e le sfumature eleganti della signorilità . Ma di chi, non farà mai pesare l’attenzione e lo studio impegnate nella recitazione. Come in un inchino verso il suo amato pubblico, senza nessuna presunzione di essere attore, darà tutto di se, anima e corpo, in nome della spontaneità. Quello stesso calore, esuberante e trascinatore, che vediamo oggi in suo figlio Christian. Che sembra all’opposto dei film del padre, dalla malinconia dilagante, e catalogabili in tutte le categorie della tristezza. E’ sempre un azzardo interpretare uno stato d’animo, e ci vuole coraggio per proporre contenuti che non siano servili all’indulgenza della critica. Ma, i miti, non sono affidati solo alle leggende. In fondo, si creano, soprattutto, con la realtà dei fatti.

Federica De Candia. Seguici sempre su MMI e Metropolitan cinema