Vittorio Gassman, “Il sorpasso” al grido di “Vai cavallina!”

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Di Federica De Candia

Non era un ferragosto qualunque. Nel 1962 a Roma, l’afa bruciava l’asfalto e aleggiava ardente l’aria del benessere. Vittorio Gassman ne “Il sorpasso“, con una scena resterà nella mente di ogni amatore del cinema. Sulla via Aurelia al grido di “Vai cavallina!”, la Lancia Aurelia Spider sfrecciava sull’asfalto deserto. Inarrestabile, come quegli anni del cosiddetto miracolo economico. Perché l’Italia, si lasciava indietro, come il vento che scompiglia dalla decappottabile, le miserie della Seconda Guerra Mondiale. Ingranata la risalita, il paese era vincente, in rinascita, e fiero di gridarlo al mondo. Stasera in tv “Il Sorpasso“, film di Dino Risi, la storia sulle ruote mai passata di moda.

Dino Risi, che pur non amava la definizione di commedia all’italiana, tutta colpa di quel ‘al ‘ di troppo, che la rendeva sempliciotta e con una punta di ironia, crea un film manifesto della società. Quei ristoranti brulicanti di coperti, e le spiagge dove si ballava tutti assiepati, con gli stessi passi e movenze al ritmo di Edoardo Vianello, ne sono la più viva rappresentazione. E se partiva una chiamata dal lido, verso la ‘Pensione Albatros‘ di Viareggio, era l’amico di Roma che cercava Valeria; un giovane Jean Louis Trintignant, che colto da malinconia, mentre risuonava un lento americano di Peppino di Capri, chiede al centralino, con una mano alla cornetta e un dito nell’orecchio, di passargli la comunicazione.

Vittorio Gassman e quel clacson inconfondibile

Bruno Cortona è Vittorio Gassman. Sfreccia per le desolate vie della città con la Lancia modello B24, in cerca delle sigarette e di un telefono. Con la spensieratezza, la sfrontatezza che pare spavalderia. Nel personaggio di Bruno, gli stereotipi anni ’60, che riconosceremo anche non avendo vissuto quell’epoca. Casualmente, incontra il giovane studente Roberto Mariani (Jean Louis Trintignant), che coinvolgerà, suo malgrado, in un folle viaggio senza meta su per la via Aurelia. Gli antenati di quell’esule ferragostano che fu poi Verdone; attaccato ad un telefono, “T’avevo chiamato pe sapè come t’eri messo..”, per salvare il ’15’ più famoso dell’anno.

Vittorio Gassman, uno sbruffone, audace, senza vergogna. In un film costato molto poco, proiettato inizialmente in un solo cinema a Roma, che diventerà una pellicola, pietra miliare della sceneggiatura. La scena del viaggio in auto, racconta un pezzo di vita quotidiana, che finisce col far ridere. Senza beffarsi della società, ma soltanto con il desiderio, di Dino Risi, di raccontarla così com’è. Sarà un sogno per ogni automobilista, sempre che non sia stato già esaudito, abbandonarsi ai gesti liberatori, come quelli di Gassman al volante. Un linguaggio universale comprensibile a tutti i piloti su strada.

Donne e motori, la legge del sorpasso

Inizialmente il ruolo da protagonista del film, fu proposto a Walter Chiari. Che rifiutò, si dice, per non lasciare la sua amante Ava Gardner. E Vittorio Gassman, al suo posto, fu una rivelazione. Ogni attore è i personaggi che interpreta, che ne rivelano l’anima. Ed egli fa di Bruno un monumento di comicità sulle quattro ruote. Il dialogo tra lo spaccone e il timido compagno di sedile, conosciuto solo quella mattina stessa, è puro neorealismo. E Gassman si supera, interpreta la parlata romanesca e i modi che la contraddistinguono, con “la spontaneità” di un conducente come appena uscito dalla Tangenziale all’ora di punta.

La musica di Modugno dalla radio in sottofondo, note al vento dalla decappottabile in viaggio. “L’uomo in frakke mi fa impazzì…la sua solitudine, l’incomunicabilità…quella che va di moda oggi, l’alienazione“. Dice BrunoGassman, eterno bambino che vive alla giornata, alla velocità rampante della sua carrozzeria bianco crema. “Abbeveriamo i cavalli“, dirà, sopraggiunto alla stazione di benzina, dove un clacson suona come un nitrito. E finisce per affascinare Roberto, simbolo, invece, della casta alto-borghese. Convinto a lasciare i libri da avvocato a casa, e ad accompagnarlo nelle sue imprevedibili scorrazzate. “Sono veramente sorry. Ma era attaccata con lo sputo.” Si scuserà impassibile Bruno, quando nel bagno dell’amico farà cadere la mensola.

Gassman, era ed è

“Famme ballà, sto creando”. Dice Gassman, mentre incarna le movenze di un ballo sfrenato, comico, come chi non sente la musica ma balla con convinzione passi che solo lui sa. Sembra una poesia, quella frase di uno spaccone qualunque, che cerca spazio a bordo pista. Sarà inevitabile giustificarla ed amarla. Ancora una volta, frutto del carismatico Bruno: tutta prestanza fisica e sforzi ginnici. Messo accanto, in quella cabrio lanciata, al suo antagonista Roberto: in uno incontro-scontro tra due generazioni e modi diversi di vedere la vita. Il rigore intellettuale di Roberto, la cui massima realizzazione è quella di seguire le orme del cugino Alfredo, avvocato di uno studio privato a Rieti e avere una Fiat 500, farà da passeggero all’ansia di vivere di uno sciupafemmine con il timore della vecchiaia. Le uniche preoccupazioni da nullafacente di Bruno. Due amici per caso, così diversi, che si ritrovano in macchina, lungo un tempo scandito in kilometri, a mettere in discussione e ripensare alla propria esistenza.

“Lo sai qual è l’età più bella?! è quella che uno c’ha”. “Che te frega delle tristezze”. In dialoghi all’apparenza banali e rozzi, c’è il senso del film, buttato lì. Da cogliere tra la tensione continua creata dagli opposti. “Il sorpasso” è un film da salvare. Il Nastro d’argento e il David di Donatello andranno a Gassman come miglior attore. A Dino Risi il merito e l’arte riconosciuta, di aver creato un capolavoro e un personaggio eterno. Non si racconta il finale di un film. Perché è bene mantenere lo spettatore attento fino all’estremo. Ma, soprattutto, regalargli l’interpretazione ultima, a seconda dell’emozione provata. Inaspettata, improvvisa e inattesa che sia. Eravamo proprio così. Come quelli de “Il sorpasso“. Capaci di dondolarci su un twist, di eseguire come un plotone i comandi del sergente “Alligalli“, alzando una gamba come fossimo watussi. Audaci eroi, piccole irresistibili macchiette di un’Italia che non si supererà mai.

Federica De Candia.

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