We are who we are è la serie tv di Luca Guadagnino, un film lungo otto ore in cui gli adolescenti, tra amore e amicizia, sono alla ricerca della loro identità.

We are who we are, la trama

Fraser. Photo: Web.
Fraser. Photo: Web.

Alla base militare americana di Chioggia è tempo di nominare un nuovo comandante che conosciamo sin dal suo arrivo in aeroporto. Si tratta di una donna, Sarah Wilson (interpretata da Chloë Sevigny), con la moglie Maggie (Alice Braga), e il figlio Fraser (Jack Dylan Grazer).

Un timido 14enne con i capelli biondi, evidentemente ossigenati, e una leggera peluria sul labbro superiore. Ha sempre le cuffiette nelle orecchie, bottiglia di vino o birra sempre in mano, porta lo smalto sulle unghie e ha un modo di vestirsi stravagante. Già lo si ama.

Inizia a girovagare per la base americana, cosa che permette allo spettatore di conoscerla meglio, di farsi un’idea del posto. È un microcosmo di vita americana, Fraser inizia a guardarsi intorno, a spiare. Osserva tutte le nuove persone che, per un po’ di tempo, lo circonderanno. 

Il suo interesse viene catturato da Caitlin (interpretata da (Jordan Kristine Seamón) mentre recita una poesia di Walt Whitman nella High School di Chioggia (incredibile ma vero). 

Lei, proprio come Fraser, è un alieno alla ricerca della sua identità. I due percepiscono da subito di essere dotati della stessa sensibilità d’animo, basta poco per diventare complici, intimi.

We are who we are, Fraser e Caitlin. Photo: Web.
We are who we are, Fraser e Caitlin. Photo: Web.

Un film lungo otto episodi

C’è un po’ di Guadagnino in Fraser, e anche un po’ di Elio di Chiamami col tuo nome. È un outsider dall’animo fragile, amante della poesia e alla ricerca dell’attimo che lentamente rischia di sfuggirci da sotto il naso.

Oltre questo, c’è una cosa che Sarah dice, riferendosi a un soldato, e che fa molto riflettere:

“È il mio tipo, ma non il mio genere.”

Perché al tema dell’adolescenza, Guadagnino lega il tema del transgender, inteso come superamento della concezione binaria dell’identità sessuale. Non solo affrontata dai ragazzi ma anche dai loro genitori.

In sottofondo, non può non mancare il tema politico, siamo nel 2016, poco prima delle elezioni americane, palpabile il braccio di ferro tra Hilary Clinton e Donald Trump, arrendevole il tono che acquisisce, considerato il fatto che sappiamo bene come è finita.

È un film lungo otto episodi, a ogni scena viene lasciato il tempo di raccontarsi, di svolgersi senza fretta, mentre racchiude la malinconia dell’estate finita, la complessità degli scontri generazionali, l’amicizia, la scoperta, la voglia di baciarsi sempre.

Quell’età tragica e bellissima che è l’adolescenza.

Perché, nel caso ci fossero dubbi, alla fine siamo chi siamo. Senza identità, senza etichette. Lasciarsi andare.

Guadagnino fa un cocktail di tutto questo, e nello scrivere la sceneggiatura si fa aiutare da Paolo Giordano, Francesca Manieri e Sean Conway. Prodotta da HBO e Sky, disponibile in Italia su Sky Atlantic e Now Tv.

Una serie imprevedibile, valli a capire.

Consigliata a chi ha voglia di lasciarsi spiazzare da un Guadagnino che sa esattamente in quali punti colpire, i dialoghi sono limitati ma le immagini sono perfette, ammalianti. 

Sì, perché per raccontare l’eternità di quegli attimi che il tempo si porta via, utilizza il metodo del fermo immagini, come delle polaroid (forse troppe). 

Immergono in un mondo segreto dove i suoi personaggi sono impegnanti nella costante lotta della scoperta di sé, nulla di così pericoloso ma è già un’avventura. 

We are who we are è una serie imprevedibile, valli a capire. Non riesci a decidere se la ami o la odi, ti lascia a metà strada. Spiazzato, appunto.