Da sempre la moda è stata veicolo di espressione ideologica e politica. Oggi ancor di più. E’ il caso del wearable activism: un fenomeno sempre più in diffusione che vede l’uso dell’abbigliamento per promuovere cause sociali o ambientali. Magliette, accessori, gioielli…Tutto ciò che si ha nell’armadio può diventare “attivismo indossabile”.
Moda e politica: un’intersezione da sempre esistente
Nel corso della storia, la moda è sempre stata uno degli strumenti di espressione politica più apprezzati dagli attivisti. Si ricordino tutti quei gruppi sovversivi che utilizzavano specifici colori e simboli nel loro vestiario per potersi distinguere. Le famose “camicie nere” a servizio di Benito Mussolini, ad esempio, assumevano questo nome proprio dalla particolare divisa usata. Il colore nero delle camicie e l’uso di simboli mortuari non era casuale: richiamava il loro modo di agire e pensare.
Un altro caso storico in cui la moda è stata usata come veicolo di messaggi politici è quello delle Madri di Plaza de Mayo. Questo gruppo nacque a seguito della vicenda dei desaparecidos. Tra il 1976 e il 1983, molte persone dell’America Latina vennero arrestate di nascosto dalle milizie dei regimi dittatoriali di quei Paesi. I motivi di questi rapimenti furono pressoché politici o legati all’accusa di “attività anti governative”. Con il passare del tempo la verità venne a galla e molte madri di questi scomparsi si attivarono per protestare contro i regimi dittatoriali e le sciagure che stavano causando. Le donne durante le loro proteste si distinguevano per un fazzoletto bianco che tutte tenevano legato sulla testa come richiamo alle stoffe bianche usate come pannolino per i propri figli.
Un attivismo silenzioso di forte impatto
Oggi la moda viene usata per fare attivismo anche nei momenti in cui non si ha uno striscione in mano e non si è nella folla di una protesta. Grazie all’uso di magliette, accessori e gioielli ritraenti simboli, colori e scritte, si riesce a fare politica anche silenziosamente. Non sono più necessari cartelloni e megafoni per dire la propria. Ma basta utilizzare il proprio armadio.
A prova di questo forte impatto mediatico che ha il wearable activism, molti grandi marchi si sono adeguati a questa moda. Missoni, ad esempio, qualche anno fa ha dato il via alla produzione dei pussyhat: capelli rosa con le orecchie da gatto usati come simbolo della battaglia dei diritti delle donne. Anche Lush ha lanciato una linea a sostegno della campagna contro lo sfruttamento degli animali in laboratorio: la famosa “Fighting Animal Testing”.
Anche sui social non manca questo fenomeno. Numerosi influencer usano la propria visibilità per promuovere battaglie sociali. Un esempio lampante è la modella Chiara Ferragni che durante la sua partecipazione a Sanremo 2023 ha indossato ogni sera un “vestito manifesto” diverso. Condividendoli sui suoi social, ha spiegato il significato di ciascun abito ricollegandosi a tante cause a lei molto vicine.
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