Dateci la parola! Urla il film di Sarah Polley. Come già dimostrato nel recente “Saint Omer” di Alice Diop, la parola delle donne si sta facendo largo nel panorama cinematografico contemporaneo. Il tribunale dal cui pulpito Laurence Coly intavola il suo monologo struggente è nel film militante “Women Talking” un fienile, dove otto donne adulte si riuniscono per parlare e pensare. Hanno due giorni di tempo per decidere cosa fare delle loro vite. È il 2010 anche se non c’è traccia di modernità, eccetto brevi incursioni. Siamo in una comunità Mennonita in Canada, dove alle donne è negata un’educazione scolastica e gli uomini perpetrano su di loro violenze dopo averle narcotizzante con un sedativo per animali.
L’autrice, al suo quarto lungometraggio, dopo un’assenza di dieci anni, ha deciso di portare sullo schermo la storia vera della colonia Mennonita di Manitoba in Bolivia, di cui Sara Polley è venuta a conoscenza dal libro di Miriam Toews, pubblicato nel 2018, mentre gli eventi reali sono avvenuti nel 2011.
Si tratta di una storia che ben si integra nella riflessione della parità di genere che Hollywood sta portando avanti in questi anni con film come “Bombshell” (2019), “Una donna promettente” (2020), “Anche io” (2022). A differenza dei titoli citati in precedenza non c’è sensazionalismo scandalistico della prima ondata del Me too, ogni evento di cui gli uomini si sono incriminati è già avvenuto al di fuori del racconto e non viene mostrato allo spettatore se non nei suoi effetti, nei lividi, nel sangue sui corpi delle donne, in quadri fermi da osservare, di cui prendere atto per passare oltre.
Women talking: Il potere della selvaggia immaginazione femminile
Nonostante gli uomini davanti alle accuse delle donne le giudichino prede di un’immaginazione sfrenata, le mogli e le madri riescono comunque a farli recludere in prigione, seppur per poco tempo. In un combattuto confronto tra le legnose pareti del grande fienile in cui si raccolgono, Ona, Mariche, Agata, Greta, Mejal, Autje e Scarface Janz, pensano a tre soluzioni possibili al loro problema nella comunità, mettendo ogni opzione al voto. Possono restare dove sono e non fare nulla; restare e combattere per il loro diritti calpestati o andare via dalla colonia e seguire la strada per la libertà. Come dichiara Sarah Polley, lo stesso film è un atto di immaginazione femminile. Nella finzione del libro e del film si arriverà a una scelta di libertà, mentre nella realtà è stata presa una decisione diversa.
Nel gruppo emerge il faccia a faccia tra due madri, Salome (Claire Foy), che prende sempre più consapevolmente atto di essere stata vittima dell’indottrinamento del marito e Mariche, rabbiosa e combattiva interpretata da Jessie Buckley, stella in ascesa di Hollywood, già vista in un ruolo in lotta con il potere maschile nel conturbante “Men” (2022). “Women Talking” è un film corale con un cast ricchissimo. Rooney Mara è la giovane Ona, che apre il film. Mentre al personaggio di Scarface Janz presta il suo volto di pietra Frances McDormand.
La parola delle donne e Il silenzio degli uomini
In questo microcosmo femminile emerge il personaggio maschile interpretato da Ben Whishaw. August Epp è un professore espulso dalla comunità che deve trascrivere ogni parola pronunciata dalle donne nella loro assemblea di emergenza, a causa della condizione di analfabetismo a cui gli uomini le hanno costrette. Una scelta drammaturgica dal potente messaggio politico. Un uomo che non prende parola, messo nella condizione di ascoltare in silenzio le donne che parlano tra loro. Che assiste alla loro emancipazione tramite l’arma dell’oralità.
La messa in scena scarna, come una cattedrale, fa da cassa di risonanza alla sceneggiatura di ferro, scritta a quattro mani dalla regista e da Mariane Toews. La fotografia di Luc Montpellier, decolorata e contrastiva, passa dagli interni in penombra a un campo di grano illuminato dal tramonto.
Eleonora Ceccarelli
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