“Due giornate di viaggio allontanano l’uomo (specie l’uomo giovane le cui radici sono ancora poco abbarbicate alla vita) dal mondo di tutti i giorni, da quelli che egli considerava doveri, interessi, affanni, previsioni, assai più di quanto non abbia immaginato mentre la carrozza lo portava alla stazione.
Lo spazio che rotando e fuggendo si dipana tra lui e la sua residenza sviluppa forze che di solito si credono riservate al tempo; di ora in ora provoca mutamenti interiori molto simili a quelli attuati dal tempo, che però in certo modo li superano. Come quest’ultimo, esso genera oblio, ma lo fa staccando la persona dai suoi rapporti e trasportando l’uomo in uno stato di libertà originaria… anzi, trasforma in un baleno persino il pedante
borghese in una specie di vagabondo.
Il tempo, si dice, è oblio; ma anche l’aria delle lontananze è un filtro dello stesso genere, e se anche dovesse agire meno a fondo, in compenso lo fa con maggiore rapidità. (La montagna incantata, Thomas Mann)”
Rimettendo a posto la sezione “Letteratura tedesca” della libreria, spolverando – come conviene soprattutto in estate – i libri uno ad uno, riscopro Der Zauberberg, l’edizione tedesca de La montagna
incantata, acquistata in una libreria di Davos, non molto distante dalla funivia che conduce all’albergo Schatzalp, ex sanatorio del dottor Friedrich Jessen, il Berghof, dove fu ricoverata Katja, la moglie del grande
scrittore tedesco di origini ebraiche, per un’affezione polmonare.
Di fronte, s’innalza la catena montuosa che ha ispirato Thomas Mann, avvolta spesso da una luce rosata che la rende diafana e impalpabile: appare e scompare, creando un’illusione di realtà.
Il protagonista del romanzo, Hans Castorp, era da Amburgo diretto proprio a Davos, città del Canton dei Grigioni, che è stata, dopo Flims, il set cinematografico svizzero di Youth di Paolo Sorrentino.
Il 5 Maggio 2014 noi attori partiamo per Flims, in pullman da Roma, intorno alle sette; in viaggio, conosco Jason – ancora oggi caro amico – e Demetra, che saranno, con Katy Monique, i miei compagni d’albergo e
d’avventura. Arriviamo in tarda serata, dopo aver affrontato numerosi tornanti, mentre “grandiosi e vasti panorami di quel sacro fantasmagorico mondo di vette che è l’alta montagna, nel quale si stava salendo ed
entrando, si aprivano all’occhio riverente e, alle svolte, andavano ancora perduti (ibidem)”. Il paesaggio svizzero è bello perché è indifferente come una sorda potenza (ambigua come tutte le potenze: amica, quindi accogliente e, nel contempo, nemica dunque ostile, “sorda”).
L’aria salubre e secca rischiara il pensiero e ne acuisce l’intuizione. Non è un caso che anche Nietzsche abbia soggiornato nel Canton dei Grigioni, e precisamente a Sils Maria, in Engadina, per curare l’emicrania di cui soffriva. Dopo il costume fitting, durante il quale conosciamo, fra gli altri, gli impeccabili (e burloni) Ardalan e Alessandra, i costumisti Luca Canfora e Carlo Poggioli, le prove “trucco e parrucco” con Maurizio Silvi e Aldo
Signoretti, il 9 Maggio hanno inizio le riprese, presso l’Hotel Waldhaus. Paolo Sorrentino è apparentemente impassibile e sicuro, per un attimo gioca con un pallone per mascherare l’emozione.
Tutto è stato preparato nei minimi dettagli. Come già anticipato, ricordiamo che il 20 luglio verrà conferito a Paolo Sorrentino il Premio Fiesole ai maestri del cinema 2019, presso il Teatro romano di Fiesole. I noltre, segnaliamo l’appuntamento con il regista a Piazza San Cosimato (Roma, Trastevere), dove presenterà il suo Sabato, domenica e lunedì con
Tony Servillo, trasposizione televisiva del noto testo teatrale di Eduardo De Filippo (a seguire The young pope episodio VIII), il 3 luglio alle 21.15.
Corpi in marcia, avvolti da bianchi accappatoi e dai vapori del bagno turco, che lentamente sfilano dismessi, come “deportati dalla vita”, di fronte ad inservienti quasi compiaciuti di tanta rinuncia a qualsivoglia
principio d’individuazione. A Davos, la tubercolosi e i malati dell’ex sanatorio paiono sovrapporsi alla mal di vivere e ai malati di vecchiaia, mentre risuona il detto di Terenzio “senectus ipsa est morbus” (“La vecchiaia è di per se stessa una malattia”; contrariamente a quanto afferma Cicerone che apprezza “quella vecchiezza salda sui fondamenti posti nella giovinezza (De senectute)”). La concentrazione sul corpo, sulle
privazioni e sul “presagio di morte” e i “passati” (minestre e ricordi) consumati ai pasti compongono una silenziosa trenodia in memoria di lei, la grande assente: la giovinezza.

Come Euridice dispersa in un’Ade in cui compaiono – non a caso – Hitler (JimmyTree-Paul Dano) e un Maradona (Roly Serrano) affaticato, l’età in cui il futuro pare più lontano viene redenta e ricreata dalla memoria del direttore d’orchestra Fred Ballinger (Michael Caine) e del regista in cerca d’ispirazione Mick Boyle (Hervey Keitel), dall’amore di un padre (Fred) per la figlia Leda (Rachel Weisz), dall’apparizione illusoria di Mădălina Diana Ghenea, dall’infatuazione di Leda, dal concerto finale. Insomma, ci ricorda Sorrentino: la giovinezza è desiderio, emozione, musica, leggerezza (“irresistibile tentazione”), illusione (etimologicamente, “ironia”), gioco,
scherzo, non importa se ingannevole o fuggitivo; non è, in fondo, l’essenza stessa del tempo e, in un certo qual modo, forse, almeno in parte, non l’annulla? “Io devo scegliere cosa vale la pena raccontare, se l’orrore o il desiderio. E ho scelto il desiderio”, afferma Jimmy Tree.
Indelebile il ricordo dell’ilare Michael Caine: prima che si girasse la scena della colazione di Hitler, aiutava Paul Dano con il gesto della ripiegatura del tovagliolo, definendo modi e scandendo tempi. Così come
rammento con gioia le notti di riprese, il mangiafuoco e le bolle giganti, e anche quelle serate fuori dal set con Jason, Ardalan e Alessandra, e i nostri buffi balletti.