“Io credo che a parte le chiacchiere il centro sinistra ha salvato l’Italia, abbiamo conquistato miliardi di euro per l’economia, per le imprese, ora bisogna spenderli bene, in fretta con programmi concreti e il Pd sarà il garante di questa grande opportunità. Noi non dobbiamo restaurare l’Italia che c’era ma dobbiamo costruirne una nuova, più competitiva, più unita, più giusta e che finalmente affronti tanti problemi che non siamo mai riusciti ad affrontare per i troppi tagli alla spesa pubblica. Ora questa Europa che abbiamo cambiato, investe ma guai a sbagliare. Chi esce sconfitto è quella destra nazionalista che l’Europa la voleva distruggere e picconare isolando l’Italia. Ora ci sono 209 miliardi del recovery plan, il programma Sure e anche il Mes e il Pd chiede che presto si definiscano i progetti per il Mes”. Così Nicola Zingaretti, segretario Pd, dopo la direzione del Partito democratico.
Cinque ore di discussione bella e appassionata, dove poco o nulla è quello che sembra. Passa la linea del Si, via libera al taglio dei parlamentari, i motivi e il progetto di una nuova stagione di riforme. Ma il partito resta diviso, confuso, e soprattutto in attesa di capire cosa succederà il 20-21 settembre. Data a cui sono rinviati tutti i chiarimenti politici di una legislatura che arranca da due anni e di un governo che nell’ultimo mese è tornato pericolosamente sul precipizio.
Come prevedibile, il segretario democratico tiene unita la Direzione del Pd riunita ieri in remoto dalle 12 alle 17 con un piccolo trucco di palazzo: due votazioni separate, una sulla relazione del segretario e una sul referendum.
Il modo più elegante, anche se un po’ tardivo, per non zavorrare Zingaretti alla partita referendaria dove in caso di vittoria del Sì ci sarà un solo vincitore, Luigi di Maio e non certo il segretario dem. Il doppio voto ieri è stato anche un via libera nei fatti alla libertà di voto nelle urne a tanti compagni di strada seppure ufficialmente il partito è schierato per il Sì. Ma l’ultimo mese è stato nefasto per il segretario dem: ha politicizzato e polarizzato l’attenzione sul referendum con quel grido “chi vota No mette in pericolo il governo e il Pd”; ha messo in guardia dal “rischio democratico” se con il taglio dei parlamentari non ci sarà almeno la riforma della legge elettorale e gli altri correttivi costituzionali. Insomma, ha blindato se stesso e il governo fino a rinnegare quando detto nelle ultime settimane circa il referendum e l’emergenza democratica. E ha provato a rilanciare l’azione di governo.
Zingaretti ha convocato la Direzione del Pd con due punti sostanziali all’ordine del giorno: dare la linea in vista del Referendum e suonare la carica per le regionali visto che domenica Salvini ha annunciato il “7 a zero” per il centrodestra. Tra i due, è stato più convincente sul secondo punto. “No al governo a tutti i costi. Noi ci stiamo solo se fa cose utili” ha chiarito il segretario lanciando una sorta di ultimatum a Conte e ai 5 Stelle sulle partite economiche (“prendere subito il Mes”) e sui progetti del Recovery Fund: “Abbiamo davanti a noi giornate cruciali, servono concretezza e realismo. Le nostre scelte peseranno sull’avvenire delle nuove generazioni”. Fare presto e fare bene. Vietato sbagliare. Poi è arrivato il messaggio che più conta nelle prossime settimane, il più amaro dopo il ceffone dei 5 Stelle che si sono fatti liste per conto proprio in Puglia e nelle Marche. “Gli elettori pensino al voto utile, votare altri al di fuori del Pd significa disperdere risorse preziose” ha chiarito il segretario.