Proprio oggi, dopo i numerosi scavi archeologici condotti dall’ingegnere militare Gioacchino de Alcubierre, per conto di Carlo Borbone III, vennero alla luce le rovine dell’antica città di Pompei. Dopo molti sopralluoghi sul posto, il 1 aprile del 1784, iniziarono a venire allo scoperto i primi reperti della città di Pompei. Erano, perlopiù, monete, dipinti, oggetti metallici e d’epoca romana. Ma man mano che si scavava, vi si trovavano frangenti e scorci di una città fantasma, distrutta dal tempo e da quella famosa notte, dove le fiamme del vulcano risucchiarono la vita.

Pompei: la scoperta della città risucchiata dalla potenza del Vesuvio

Scoperta l’antica città di Pompei. Ph@pinterest
Scoperta l’antica città di Pompei. Ph@pinterest

I primi scavi nella zona dell’antica Pompei si sono svolti nel 1748, a seguito della scoperta di Ercolano, per volere della dinastia borbonica. Inizialmente gli scavi proseguirono con ricerche episodiche, l’obiettivo era la ricerca di oggetti preziosi o quantomeno di particolare bellezza. Perché proprio in quel luogo vi chiederete, il motivo era attribuito al possibile rinvenimento dell’antica città di Stabiae. Infatti, essa era il vero oggetto della ricerca di Alcubierre.

I primi scavi archeologici si svolsero in “spoliazione”, cioè i reperti venivano tolti dal sito e portati presso il museo reale di Portici. Man mano che le ricerche continuavano, dopo l’incessante scoperta dei numerosi materiali e reperti ogettistici, venne fuori una prima parte della struttura urbana della città antica. Tale avvenimento diede l’input per l’implementazione dei lavori di scavo, fortemente appoggiati dal re Carlo di Borbone, che portarono alla luce il Teatro Piccolo, detto anche “Odeion“, che gli archeologici chiamarono “Stabiano“, poiché convinti di essere sul luogo dell’antica Stabiae.

Città di Pompei: dal ritrovamento di oggetti preziosi alla scoperta di una città abbandonata

Ma verso il 1754 a causa degli scarsi risultati ottenuti, le ricerche cessarono. Per poi essere riprese con più vigore nel 1755. Gli scavi ripresero, e portarono alla luce nuove meraviglie come la via dei Sepolcri e la Porta Ercolano, la splendida villa di Iulia Felix, e l’Anfiteatro. Successivamente, nel 1763, grazie al rinvenimento di un’epigrafe riferita chiaramente alla Res Publica Pompeianorum (ai cittadini di Pompei), si capì che si trattava della antica città di Pompei e dunque si decise di riprendere a scavare proprio in quell’area. Le rovine di Pompei cominciarono a trasalire davanti agli occhi della nuova società del Settecento.

La storia della città antica, oggi celebre in tutto il mondo, è la regina indiscussa del turismo vesuviano. Ripartita in quel 1 aprile del 1748, sarebbe poi proseguita sotto l’egida della consorte del re Ferdinando IV di Borbone, Maria Carolina, la quale ebbe anche il merito di stimolare la pubblicazione di volumi dedicati alla città, da mostrare alle corti europee che contribuirono a delinearne la curiosità ed il futuro successo. Inoltre, durante la sua reggenza, parte della città, come la zona dei teatri, il tempio di Iside, diverse case e necropoli emersero dal sottosuolo, dopo l’incremento afflusso degli scavi archeologici.

La città abbandonata torna alla luce ed è l’evento più chiacchierato del Settecento

A consacrare la notizia e ad onorare la grande attrazione rinvenuta nei pressi del Regno di Napoli, fu Gioacchino Murat (allora Re di Napoli) e sua moglie Carolina. Sotto la dominazione Napoleonica, Pompei ebbe un vero e proprio momento di gloria. Venne individuata la cinta muraria e riportata quasi del tutto alla luce la zona di Porta Ercolano; inoltre, grazie alle pubblicazioni volute da Carolina, la fama di Pompei crebbe a dismisura diffondendosi in tutta Europa, diventando tappa obbligata del Grand Tour.

Inoltre il Re di Napoli, ordinò la costante protezione del sito archeologico dai saccheggi, grazie all’impiego dell’esercito, e inoltre assoldò fino a 400 uomini per continuare gli scavi. Fu dell’archeologo Giuseppe Fiorelli, dopo il 1860, l’idea di applicare la tecnica dei “calchi”, ovvero il riempimento tramite colate di gesso, delle impronte dei corpi lasciate dalle vittime dopo l’eruzione, sul terreno coperto dalla cinigia. La città addormentata, sepolta per oltre 1600 anni da cenere e detriti, finalmente aveva ritrovato la luce. È stata oggetto per secoli, anche di numerose pellicole cinematografiche, come quella del 1935: “Last days of Pompeii” (“gli ultimi giorni di Pompei”), fino al più recente film “Pompei” del 2014.

Dai primi scavi del 1° aprile 1748, oggi il Parco archeologico è una delle più grandi attrattive di flussi turistici e di studiosi provenienti da ogni parte del mondo. Grazie ai lavori di scavo più recenti, che non smettono mai di sorprendere, tra ritrovamenti storici, seppelliti per secoli sotto ad una fitta coltre di detriti e cenere. Un luogo, che tutti noi prima di morire dovremmo almeno visitare una volta nella vita. Una delle meraviglie più nascoste, tra arcano e profetico, che ospita la nostra Penisola.

Domenica andammo a Pompei. Molte sciagure sono accadute nel mondo, ma poche hanno procurato altrettanta gioia alla posterità. […] Un posto mirabile, degno di sereni pensieri.”

-Da “Viaggio in Italia” (1816), Johann Wolfgang von Goethe

Curiosità: il 1 aprile, le donne dell’ Antica Pompei pregavano per stimolare la virilità dei maschi

1 aprile, a Pompei si festeggiava la Veneralia ph@google
1 aprile, a Pompei si festeggiava la Veneralia ph@google

Il 1 Aprile, nell’antica città, ricorreva la “Veneralia”, una festività romana, dedicata a Venere Verticordia e alla sua compagna, Fortuna Virile. Venere, la dea dell’amore era la divinità principale di Pompei. Da lei deriva perfino il nome che la città assunse all’indomani della fondazione coloniale. Le donne, sposate e non, si recavano al tempio di Venere e rimuovevano le collane d’oro dalla statua della divinità. Dopo aver sottoposto la statua ad un lavaggio sacrale, ricollocavano le collane d’oro, e decoravano la statua con fiori di rosa.

Le devote poi si recavano ai bagni pubblici maschili, coprendosi con schermi fatti di mirto, si denudavano, e offrivano a Fortuna Virile dell’incenso, ottenendo dal dio la concessione di nascondere agli uomini i loro difetti fisici così da stimolare la virilità. Infine bevevano papavero macinato e sciolto nel latte, addolcito con un pò di miele (la stessa bevanda bevuta da Venere nel giorno del suo sposalizio con Vulcano). La cerimonia garantiva alle devote bellezza, personalità e nobiltà.

Irene Marri

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