Cultura

Colapesce @ Auditorium Parco della Musica (Live Report)

Prosegue con successo il tour teatrale del cantautore siciliano Lorenzo Urciullo – in arte Colapesce – e così, dopo il sold out in data zero presso il ‘Santeria Social Club’ di Milano cui è seguito l’Antoniano di Bologna, l’artista sbarca all’Auditorium Parco della Musica di Roma, Sala Sinopoli.

In platea i suoi fans sono presenti nel numero di un migliaio scarso: non il trionfo del ‘tutto esaurito’ ma di certo un’accoglienza partecipe e affettuosa da parte di un pubblico che lo segue fedele sin dagli esordi e che in chiusura, su sollecitazione del Nostro, affollerà in piedi le prime file spezzando l’atmosfera un po’ ingessata tipica della location e trasformandola quasi nell’intimità di un club.

In apertura, menzione speciale al talento di Andrea Poggio, ex-Green Like July, appena uscito per l’etichetta Tempesta con il suo primo, sorprendente album solista “Controluce”, caleidoscopio di colori per un pop sofisticato, elegante, squisitamente arrangiato e purtroppo preso sottogamba da un pubblico che, a luci accese, è ancora troppo intento a prendere posto più che a seguire l’artista.

Intorno alle 21:35 arriva il momento di Colapesce: sul palco è preceduto dai suoi musicisti (tutti, lui compreso, in abito da prete) Adele Nigro (Any Other; Halfalib), chitarra, sax, tenore e voce; Andrea Gobbi, basso e voce; Giannicola Maccarinelli (JoyCut), batteria; Mario Conte, tastiere, programming e cori; Gaetano Santoro, sax e baritono. Sulla parete alle loro spalle sono sospesi tre grandi cerchi argentati, velato riferimento ai rosoni di una chiesa. Ma per una notta la liturgia sarà squisitamente profana.

L’iconografia cattolica era del resto presente sin dalla copertina del suo nuovo album “Infedele
(42 Records/Believe), il terzo in carriera, uno dei migliori dischi italiani del 2017. Una dichiarazione di indipendenza e libertà svincolata da generi e regole, viaggio temerario nella forma canzone declinata nelle sue forme più diverse.

Pochissime parole e tanta ottima musica. Un’ora e trentacinque di concerto, 18 brani in scaletta incluso un bis di 4 canzoni. Il nuovo lavoro è ripreso nella sua interezza anche se non in rigida sequenza:  un parto creativo nutritosi di opposti in attrazione e convivenza (accessibile/complesso; pop/sperimentale; moderno/ antico, paesano/cittadino; romantico/provocatore), in cui la nostra canzone d’autore flirta con il fado portoghese, l’elettronica, il tropicalismo brasiliano, il free jazz, le colonne sonore italiane di film di genere e le ballate folk americane alla Sufjan Stevens.

Diversi i momenti alti della serata: l’apertura spiazzante affidata a ‘Pantalica’, un vulcano in eruzione notturna, enigmatico gorgo di elettronica, jazz e rimandi criptici a luoghi poco esplorati. Fa da contraltare la successiva “Ti Attraverso”, una canzone pop perfetta dalla melodia immediatamente fruibile nel ritornello. Stupiscono le due code strumentali di “Maometto a Milano” e “Compleanno”, nelle quali largo spazio è lasciato ai due sassofoni e agli scambi di soli tra chitarra elettrica e tastiere.

Certo non mancano le canzoni più amate dai fans: “Satellite” a inizio set e poi soprattutto il Bis con “Restiamo in casa”, “Maledetti Italiani”, “S’illumina” e “Bogotà”.

Piace il gusto minimalista eppure azzeccato di alcune trovate: il copricapo a forma di testa di pesce spada indossato all’inizio; la giacca di pelle con sulla schiena fulmine illuminato al neon, sfoggiato sul finale; maschere carnevalesche e un cappellino da baseball con lucine, le uniche ad illuminare il buio totale durante l’esecuzione di ‘Decadenza e panna’.

C’è spazio anche per qualche micro-rimando all’attualità politico-sociale instillato qua e là: il Pigneto che sostituisce Catania come luogo natio della protagonista di “Ti Attraverso”; Salvini al posto del generico ‘naufrago leghista’ ne “La Distruzione di un Amore”; la sindaca di Roma Virginia Raggi nella lista di cose e persone da evitare durante il letargo natalizio di “Sospesi”. Persino una scherzosa citazione di Renato Zero sul finale di “Maledetti Italiani”.

La chicca è rappresentata dalla cover di “Segnali di Vita” di Franco Battiato, estratta dal best-seller “La Voce del Padrone” del 1981: la voglia di cambiare, l’urgenza di un’evoluzione, il tempo che cambia inesorabilmente noi e tutto il resto. Perfettamente in linea con la poetica del conterraneo Colapesce.

Dopo Bologna e Roma, il tour di Colapesce proseguirà all’Odeon di Catania il 24 gennaio; alla Casa delle Arti di Conversano (Bari) il 26 gennaio; all’Hart di Napoli il 27 gennaio; e il 2 febbraio all’Argo16 (ex Spazio Aereo) di Mestre (Venezia).

 Ariel Bertoldo

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