Era il 23 Novembre 1993 quando Giuseppe Di Matteo fu rapito da alcuni mafiosi di Cosa Nostra con l’intento di fare fare tacere il padre collaboratore di giustizia. Il ragazzino, dopo una lunga detenzione, fu poi strangolato e sciolto nell’acido.
Sono trascorsi più di venti anni da quando il piccolo Giuseppe Di Matteo fu prima rapito e poi sciolto nell’acido dagli uomini di Cosa Nostra. I responsabili, grazie alla collaborazione di diversi pentiti, sono già stati resi alla giustizia. Ora un nuovo tassello prova a mettere fine a quella tragica e incancellabile vicenda.
Il Tribunale di Palermo, accogliendo la richiesta avanzata dalla mamma e dal fratello di Giuseppe di Matteo, ha sentenziato a loro favore un risarcimento economico pari a 2,2 milioni di Euro in quanto, riferendosi riferendosi alla detenzione e uccisione del piccolo Di Matteo, “è stata lesa la dignità della persona, il diritto del minore ad un ambiente sano, ad una famiglia, a uno sviluppo armonioso, in linea con le inclinazioni personali, ad un’istruzione. Beni ed interessi di primario rilievo costituzionale che, pertanto, trovano diretta tutela, anche risarcitoria“.
Della cifra, addebitata al boss di Brancaccio Giuseppe Graviano, a Benedetto Capizzi, Cristoforo Cannella, Francesco Giuliano, Luigi Giacalone e al pentito Gaspare Spatuzza, coloro che decisero le sorti di Giuseppe Di Matteo, la madre e il fratello minore hanno già ricevuto 400 mila Euro, liquidati a titolo di provvisionale in sede penale. A farsi carico di liquidare il resto sarà, però, il fondo speciale costituito dallo Stato per le vittime della mafia, stante il sequestro di tutti beni dei soggetti responsabili e quindi la loro totale indisponibilità di denaro.
La storia del piccolo Giuseppe Di Matteo
Aveva appena 13 anni Giuseppe Di Matteo quando fu rapito dagli uomini di Cosa nostra. Tutto successe all’improvviso e senza alcun evento plateale. Giuseppe, il 23 Novembre 1993, si trovava in un maneggio di Piana degli Albanesi (Palermo) quando fu avvicinato da alcuni uomini sotto mentite spoglie di agenti della polizia, venuti a prenderlo per portarlo a vedere il padre, Santino Di Matteo, che da ex mafioso aveva deciso di collaborare con la giustizia e fare uscire la verità su alcune delle stragi più nere di quel periodo.
Ad ordinare il rapimento era stato il boss Giovanni Brusca, al tempo latitante, con l’obiettivo di intimorire il padre del bambino a parlare e farlo desistere.
Da quel momento, da quel 23 Novembre 1993, iniziò la lunga detenzione di Giuseppe Di Matteo, durante la quale, senza abbandonare l’obiettivo di salvare il figlio, Santino continuò a collaborare con la giustizia.
L’11 Novembre 1996, però, qualcosa cambiò. Giovanni Brusca, responsabile di decine e decine di morti, tra cui quella di Giovanni Falcone, fu condannato all’ergastolo per l’omicidio di Ignazio Salvo, sul quale Santino aveva fornito informazioni. Dal carcere arrivò dunque l’ordine di uccidere Giuseppe Di Matteo.
Enzo Chiodo ed Enzo Brusca furono i materiali esecutori della condanna a morte dell’innocente ragazzo. Giuseppe fu bloccato in un angolo della stanza in cui si trovava, come è stato reso noto dalle rivelazioni del pentito Gaspare Spatuzza, che partecipò al rapimento, e barbaramente strangolato con una corda. Il corpo del ragazzo fu poi sciolto nell’acido con l’intento di farlo sparire e di non lasciare alcunché su cui piangere ai familiari.
Ora la sentenza che ha stabilito il risarcimento di 2,2, milioni di Euro a beneficio della madre e del fratello minore di Giuseppe Di Matteo che, se sicuramente non potranno cancellare tanto dolore, quello provato dallo stesso Giuseppe e dai suoi familiari, potranno giustamente contribuire a garantire una vita migliore ad una famiglia distrutta dalla mafia.
Di Lorenzo Lucarelli