La recente proposta di legge del leader del movimento leghista Matteo Salvini, che propone l’abolizione del valore legale della laurea in Italia, ha causato non poche polemiche all’interno del movimento studentesco e accademico.
Una tale riforma, in pratica, metterebbe in discussione l’accreditamento dei titoli di studio rispetto ai criteri ministeriali, vanificando il valore del voto di laurea con cui una persona abbia concluso il suo percorso universitario. Una scelta, quest’ultima, che forse, letta in un’ottica democratica, potrebbe perfino permettere una maggiore democrazia nei criteri di ammissione a prove e concorsi (si pensi al concorso delle Poste Italiane bandito di recente in cui, per accedere alla posizione di portalettere, era richiesto un minimo di voto di laurea pari a 102). Se non fosse però che, al posto del voto, sarà ora preso in considerazione l’ateneo di provenienza: aziende ed enti che siano interessati al reclutamento di nuove figure professionali, sicuramente prediligeranno quegli studenti che si siano laureati in università prestigiose quali la Luiss o la Bocconi, a discapito di tutti coloro che abbiano frequentato atenei pubblici e meno noti.

 

 

 

 

 

                                               

 foto dal web 

E che dire, poi, dei laureati alle università telematiche? Questi ultimi subirebbero un vero e proprio discrimine, semplicemente per aver intrapreso un percorso di studi su piattaforma virtuale piuttosto che tra i banchi di un’aula. Ma prendiamo un attimo in considerazione quei punti che questa svolta salviniana sembra voler ignorare:

– Alle università private hanno diritto ad accedere solo quegli studenti disposti a sborsare ingenti tasse annuali e questo costituisce un forte segno di discriminazione sociale, allorquando si privilegino solo determinati strati della popolazione. Alla stessa maniera, esse offrono, a fine percorso di studi, un titolo di doppia laurea, o di bachelor, valido anche all’estero e calcolato con il sistema di votazione americano ed inglese.

– un posizionamento privilegiato a livello familiare e retributivo non implica necessariamente una superiorità culturale e formativa di uno studente rispetto ad uno economicamente più disagiato;

– le università telematiche, alcune delle quali, come la Guglielmo Marconi, internazionalmente riconosciute e con sedi anche in America, hanno costituito finora una valida opportunità per tutti i lavoratori di poter conseguire un titolo di studio, laddove le università pubbliche non avrebbero ammesso una frequentazione dei corsi part-time, dal momento che spesso vi è anche l’obbligo della firma;

– le università telematiche, che sono università private tanto quanto la Luiss e la Bocconi, seppure i loro costi di iscrizione siano abbastanza inferiori, dispongono di un personale docente altamente qualificato e il materiale didattico dei singoli corsi viene spesso preparato da dottorandi e docenti a contratto, selezionati tra i migliori specialisti a livello nazionale. Inoltre, gli esami sostenuti dagli studenti a fine corso non sono affatto facilitati rispetto a quelli degli atenei pubblici, ma sono semplicemente rispettosi del programma didattico affrontato;

– ci sono famiglie che hanno investito tutti i loro risparmi per offrire ai propri figli una formazione nell’università pubblica più vicina alla propria residenza, non potendo permettersi di pagare un affitto in un’altra città. Ci sono anche studenti che sono riusciti a laurearsi, in università pubbliche, grazie alle borse di studio percepite dallo Stato.

 

foto dal web

Alla luce di queste considerazioni, è legittimo domandarsi quali grandi contraddizioni stiano popolando, attualmente, il panorama politico attuale e se questa proposta di Salvini di abolire il valore legale della laurea non sia semplicemente un tentativo di ridurre il numero di cittadini che emigrano al nord alla ricerca di un impiego, considerando che il ministro Bussetti ha già anticipato che anche i concorsi a cattedra verranno formulati a livello regionale e vi sarà l’obbligo di residenza nel luogo di superamento delle prove per almeno tre anni dalla presa di servizio.
A conferma di questo atteggiamento nordista, vi sarebbe anche la storica avversione dei leghisti nei confronti delle università pubbliche del sud Italia e, a onor del vero, non possiamo negare i numerosi scandali che emersero al durante diverse inchieste giornalistiche portate avanti all’interno dell’Università della Calabria Unical, quella di Catanzaro o di Messina a proposito dei sistemi di compravendita delle lauree e della formazione di lobby familistiche nel corpo docente.
Ma è forse giusto punire gli studenti per le baronie mafiose che si consumano da sempre all’interno di determinati atenei per volontà dei rettori e delle segreterie?
E’ forse giusto che uno studente lavoratore che consegua una laurea telematica o uno studente laureato ad un’università pubblica abbiano un curriculum meno prestigioso di un laureato alla Bocconi?
Perché uno studente di un’università pubblica, che spesso deve impiegare fino a tre anni per il completamento di una tesi laurea o il superamento di un esame scritto semplicemente perché il suo professore “barone” fa un po’ i capricci, deve pagare anche l’ulteriore scotto di non vedersi riconosciuti i propri sacrifici di studio?
Come si metterà quando studenti meridionali si laureeranno alla Bocconi e presenteranno il proprio curriculum a un’azienda milanese?
Quando la cultura e la competenza saranno i nuovi metri di valutazione per la meritocrazia, vivremo forse in paese migliore. Per ora, così come nel romanzo di Harry Potter, il mondo si divide in due categorie: i maghi, privilegiati allievi della scuola di Hogwarts, e i babbani . E chi sa perché, proprio questi ultimi, categoria non protetta da un pedigree o da un certificato di nascita in Pianura Padana, vivono tutti, per citare Bukowski, “A Sud di nessun Nord”.

GIORGIA MARIA PAGLIARO