Le idi di marzo o, più semplicemente, il 15 del mese a cavallo tra febbraio ed aprile. In questo giorno, molti secoli fa, accadde un fatto che sconvolse Roma e ridisegnò il destino del mondo: la morte di Giulio Cesare. Vi racconterò di quella volta che lo vidi morire.

Per noi romani, il 15 marzo non è un giorno come tutti gli altri. Mai lo sarà. In quelle ventiquattro ore, secoli fa, incontrava la morte il grande Giulio Cesare, una delle personalità più importanti della storia. L’uomo che racchiuse nel palmo delle sue callose mani tutto il potere straripante di Roma. Le famose idi di marzo, infatti, celebrano il giorno in cui Cesare perse la vita in una riunione del Senato che, eccezionalmente, si svolgeva nei pressi di Largo di Torre Argentina.

Le idi di marzo – I romani e Cesare

Ancora oggi, l’eco di quei fatti avvenuti nel 44 a.C. influenza in minima parte la vita dei cittadini della Capitale. Chi vive Roma, lo saprà di certo: ogni 15 marzo, turisti o semplici residenti compiono una sorta di pellegrinaggio verso Largo di Torre Argentina, il luogo dove spirò Giulio Cesare. Una visita di cortesia, una preghiera oppure un timido sguardo all’antico capezzale del proconsole.

C’è anche chi si spinge oltre: non è raro trovare, infatti, dei bigliettini scritti in lingue diverse e delle rose sul punto in cui perse la vita uno dei membri del primo triumvirato. A pensarci, è pazzesco: ancora oggi, le persone hanno un pensiero per un uomo vissuto secoli e secoli fa. La bellezza di Roma, alla fine, risiede anche nel folle attaccamento dei romani verso la loro città. Sono le idi di marzo? Perché, allora, non celebrare questo avvenimento?

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La bellezza dell’area sacra di Largo di Torre Argentina (Credit: viaggiatoriatipici.com)

Le idi di marzo – Inizio del racconto

Il cielo è sereno anche se vergato da qualche nuvola beffarda. La temperatura è ottimale: questo anticipo di primavera, m’invoglia a raggiungere la famosa area sacra di Largo Argentina. Colonia mastodontica di gatti oggi, centro pulsante dell’Antica Roma in passato. Seduto su una panchina che si affaccia sul palcoscenico antico, mi crogiolo come un rettile ai raggi del sole. I clacson delle macchine in sottofondo, il ronzio degli scatti delle macchinette fotografiche, turisti estasiati, romani con le famiglie ed il miagolio dei gatti riescono a creare una litania davvero rilassante.

Tutto appare fermo, solo il vento riesce a farmi capire che il relax non ha preso prepotentemente il sopravvento. “Guardo il luogo dove morì Cesare!” Sembra assurdo solo il pensiero ma, in realtà, è davvero così. Qui si verificarono le idi di marzo, l’avvenimento che gettò nel caos Roma ed il mondo intero. Sappiamo molti particolari della dipartita di Gaio Giulio Cesare ma molte domande restano ancora oggi senza risposte.

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Statua di Gaio Giulio Cesare in via dei Fori Romani (Credit: studiarapido.it)

“Come reagirono i presenti?” “Cosa pensò il bersaglio della congiura in Senato?” “Che sguardo avranno avuto gli assassini di Cesare?” “Sapevano che sarebbero finiti nella storia sotto al nome di Cesaricidi?” “Avevano valutato bene tutte le conseguenze del gesto?” Risposte che difficilmente sapremo mai. Ad un certo punto, mi perdo nel mare di punti interrogativi creati dalla mia mente: il calore del sole mitigato dal vento mi culla verso l’oblio e le palpebre sembrano divenire più pesanti dei famosi sampietrini. Buio.

Le idi di marzo – Nell’Antica Roma

L’oscurità si dirada improvvisamente. In lontananza, in modo quasi sommesso, odo un lamento gentile e percepisco come uno sfregamento sulla gamba sinistra, ad altezza caviglia. Apro placidamente gli occhi prima di accorgermi che il mondo è cambiato completamente: davanti a me si ergono templi bianchissimi e maestosi. Intorno ad essi, è un brulicare di vita: uomini in toga si muovono velocemente tra le vie strette di Largo di Torre Argentina.

L’eleganza di quest’ultimi si mescola con gli indumenti meno raffinati di altri individui che parlano tra loro. Sento nitidamente l’odore acre che arriva dall’interno dei templi. Ne conto quattro e si ergono dove, prima, c’erano gli affascinati ruderi dell’area sacra. Anche il livello di calpestio è cambiato: mi accorgo, girando sbigottito lo sguardo, che non esiste più la famosa conca che accoglie gli antichi resti.

“Troppo stralunato per sentire le mie fusa, umano?”
Salto sulla panchina che, in realtà, si è tramutata in una fredda lastra di marmo. Non so bene se guardare ai miei piedi oppure defilarmi con la massima nonchalance. In un impeto di coraggio, decido di rivolgere il mio sguardo a terra: è un gatto. Un bellissimo gatto rossiccio dagli occhi verdi smeraldo.

Grassottello, sotto al suo naso roseo spuntano lunghi baffi sottili che adornano la parte superiore della bocca. La coda del felino, infine, farebbe la felicità di ogni casalinga: sembra un pratico spolverino che ondeggia a ritmo del vento. “Un gatto che parla? Ma dai! inverosimile!” Il pensiero è fulmineo come la controrisposta della mia mente: “Il resto, invece, ti sembra meno assurdo?!”

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Il gattone beffardo (Credit: i gatti di Roma)

Le idi di marzo – Cicerone in azione

Il gatto continua a fissarmi, in attesa. Posso specchiarmi nei suoi occhi dalle tinte verdeggianti. Decido di prendere l’iniziativa: ignoro il felino tronfio, mi alzo con cautela e muovo il primo passo in questo mondo così strano. La terza falcata viene interrotta dal micione che, spavaldo, si getta sul sampietrino che avrebbe colmato il mio quarto passo. I nostri sguardi s’incrociano, si studiano per poi cristallizzarsi.

“Accetti di essere qui ma non puoi sopportare un gatto parlante?”
“Tu non sei reale, come tutto questo!”
“Reale, irreale. Cosa importa, adesso? Sei qui con me. Fattene una ragione!”
“Cosa mi è successo?”
“Oh, nulla di così pazzesco, alla fine. Sei nella Roma di qualche secolo fa. Poteva andarti peggio, non credi?”

“Quanti secoli indietro, di preciso?”
“Non accetti che io esista ma sei disposto a fidarti delle mie informazioni? Strani, voi umani. Siamo nel 44 a.C. e quella che ti si para davanti è l’area sacra di Torre di Largo Argentina! Senza torre, ovviamente”.

Le idi di marzo – Il momento propizio

Superato il momento di sbandamento, il collegamento arriva rapido come un missile terra-aria. Largo Argentina nel 44 a.C. è stato il macabro teatro che ha inscenato la morte di Giulio Cesare. Guardo il cellulare, non c’è campo ma l’orologio segna l’orario: le 10:00 spaccate. Manca soltanto un’ora al Cesaricidio!

“Gatto, manca soltanto…”
“Un’ora. Sì. Sessanta minuti separano Gaio Giulio Cesare dalla sua morte. Vuoi perderti il lusso di vedere in prima persona come sono andati i fatti? Nel frattempo, potrei guidarti io nell’area sacra. Alle 11:00 in punto, saremo sul luogo del delitto. Tranquillo, non può vederti nessuno: sei assimilabile ad un fantasma…”

“Perché ti prodighi così tanto? E soprattutto: hai un nome, specie di Stregatto?”
“Mi piace traghettare le persone nella storia: a volte sono con Colombo, altre con Napoleone. Questa volta, da buon romano come te, gioco in casa. Ah, non ho un nome. Quindi cerca di non chiamarmi eccessivamente!”
“Mi condurrai tu, alla fine. Ti chiamerò Cicerone!”
“Come vuoi ma cerca di affrettarti: abbiamo molto da vedere…”

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Piccola ricostruzione 3D dell’area sacra (Credti: Altair4.com)

Le idi di marzo – Nell’area sacra

Addentriamoci, allora. Cosa può succedermi, alla fine? Sono un’ombra che si aggira nella Roma Antica. Tutto sotto controllo. Un po’ Alberto Angela, un po’ Marty McFly: un’ emozione difficilmente descrivibile. Svuoto la mente, tento di rasserenarmi; vediamo cosa offre il panorama circostante: quattro bellissimi templi, quello che dovrebbe essere il teatro di Pompeo ed il famoso porticus minucia vetus. Credo sia tutto.

“Sì, è praticamente tutto”.
“Sai leggere la mia mente?”
“Oh, ci sei arrivato! Credevo di esser stato piuttosto chiaro ma…”
“Prego?! Ma, cosa? Comprendi il mio sbandamento momentaneo…”
“Comprendo ma non capisco. Posso immaginare il tuo stato attuale. La Fresca, mia somma maestra nelle arti psichiche, riusciva ad incutermi molto timore. Sembrava assorta nei suoi pensieri ed i suoi movimenti non erano sempre fluidi ma sapevo che controllava ogni mio passo. Non sono qui per giudicarti ma per guidarti, ricordatelo…”

Siamo in ballo, cerchiamo di ballare. Faticosamente. I templi sono finemente decorati con statue, bassorilievi ed i colonnati appaiono davvero imponenti. Al loro interno riesco a scorgere delle luci fioche e l’odore pungente di bruciato riesce a speziare l’aria circostante con il suo fastidioso incedere. Mi fermo un momento, di colpo. Le vie sono invase da persone di ogni ceto sociale. Cicerone cattura il mio dubbio e prontamente riprende a parlare.

“Questo è un luogo sacro ma anche una piazza popolare. Trovi di tutto: senatori, nobili, mercanti ed il popolino. Il culto degli dei è aperto a tutti, alla fine. Non è certamente la Curia a rendere esclusivamente aristocratico questo luogo”.
“A chi sono dedicati questi luoghi di culto, Cicerò?”
“Ah, una storpiatura del nome che, prepotentemente, mi hai affibbiato. Simpatico come un attacco di malaria, eh?!”

Si ricompone con estrema fatica. La coda tradisce il suo nervosismo ma la voglia di mostrarmi il suo sapere è più grande della stizza. Parlerà, ne sono certo.

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Altra visuale di Torre di Largo Argentina in Campo Marzio (Credit: Scoprendoroma.info)

Le idi di marzo – I templi sacri

Egocentrico come pochi, Cicerone non perde tempo per vomitarmi tutta la sua istruzione. Sheldon Cooper risulterebbe meno fastidioso.
“Davanti a te, puoi ammirare l’unico tempio con pianta circolare dell’area sacra. È il più recente dei quattro ed è dedicato letteralmente ad Ades Fortunae Huiusce Diei, ovvero ‘La fortuna del giorno presente’. Avrai capito: è dedicato alla buona sorte! Questo è il tempio della Fortuna”.

“Chi ha voluto questa costruzione?”
“Il console Quinto Lutazio Catulo per celebrare la vittoria contro i Cimbri di Vercelli. Puoi ammirare le colonne di tufo, i capitelli di marmo e la statua dedica alla Dea Fortuna con la veste realizzata in bronzo”.

C’è poco da aggiungere. È meraviglioso nella sua strana forma circolare.
“Questo, invece, è il tempio di Giuturna, la ninfa delle fonti. Prima che me lo chiedi, fu sempre Catulo a farlo realizzare dopo la vittoriosa campagna contro i Falerii. Megalomane, vero?”

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Testa della Dea Fortuna (Credit: rolgall)

Lui, eh? Micione odioso. La sua spocchia riesce a precederlo. Il tempo in questione, per completezza d’informazioni, venne restaurato all’epoca di Silla. Fu ampliato con il grande colonnato. Come la mettiamo, adesso, gatto dei miei stivali?

“Ricordi? Posso leggere la tua mente! Giochiamo a chi ne sa di più? Bene: nel tuo presente questo tempio ospita absidi ed un altare, ovvero i resti della chiesa di S. Nicola dei Cesarini. Ovviamente, costruita in seguito sul pavimento del tempio…”


Mi dirigo con estrema curiosità verso la costruzione più grande: fedeli e sacerdotesse entrano ed escono solennemente dal tempio in questione. Enorme, non c’è nulla da fare: sembra davvero il più mastodontico.

“Il più grande dei quattro, esatto umano. C’è poco da dire: voluto da Lucio Emilio Regillo, la struttura è dedicata al censore Marco Emilio Lepido. Possiede una grande cella rettangolare preceduta da sei colonne, come vedi”.
“Cicerone, noto una grande affluenza di pubblico nell’ultimo. Come mai?”

Il gatto si ferma, sembra quasi prendere fiato per architettare tutto il discorso senza interrompersi. Probabilmente è un tempio importante.

“Questo è il tempio più famoso. Il più antico dei quattro, è stato dedicato a Feronia, l’antica Dea italica della natura e delle messi. Il culto è originario della Sabina ma è stato introdotto a Roma dopo la conquista di quel territorio ad opera di Curio Dentato. Le informazioni sono arrivate a voi grazie ai calendari dell’antico culto del Campo Marzio”.

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Resti del tempio di Feronia (Credit: romaversoblog)

Le idi di marzo – Le altre costruzioni

Non solo templi. Le mie reminiscenze storiche bussano alla mia mente che, ormai, è completamente ubriaca di questo splendore: mancano il teatro e la Curia di Pompeo. Guardo frettolosamente il cellulare e mi accorgo, atterrito, che manca esattamente un misero quarto d’ora alla dipartita di Cesare! Cicerone mi capisce al volo e cerca, frettolosamente, di spiegare.


Quindici minuti bastano ed avanzano, mio caro. Non hanno massacrato Cesare alle 11:00 spaccate! Comunque, del teatro non c’è molto da dire: luogo di svago. La Curia è assai più interessante: fu lì che si riunì l’ultima assemblea alla quale partecipò il proconsole. Capitava, infatti, che la Curia del Foro fosse inagibile: lavori, allagamenti o ristrutturazioni. Quando Cesare morì, il Senato si riunì proprio qui. Siamo vicinissimi alla storia!”
“Beh, cosa aspettiamo allora? Andiamo a vedere come morì Cesare! La piazza è affollata, tutto alla luce del sole hanno fatto. Nessuno si ribellò? Mi sembra incredibile…”
“Nessuno si aspettava quell’evento. Tutti furono spiazzati dalla ferocia dei congiurati. Cesare era amato da molti, odiato da tanti ma appariva inattaccabile”.

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Ricostruzione della Curia di Pompeo (Credit: Wikipedia)

Le idi di marzo – Sulla scena del delitto

La Curia di Pompeo è maestosa: colonnati, scalinate in marmo e bassorilievi adornano l’intera costruzione. Sembra davvero il luogo perfetto per riunire il Senato di Roma. Superate le scale, vengo aggredito dalla paura: cuore a mille ed ansia mista a curiosità pervadono la mia mente. I senatori mi passano attraverso e fisso tutti i loro sguardi severi. Quali saranno i congiurati?

L’interno è gremito di persone. Manca Cesare. Scambio uno sguardo d’assenso con Cicerone: entriamo senza indugi ma il timore continua ad attanagliarmi le gambe che, ad ogni passo, sembrano pesare sempre di più. Decidiamo di metterci al centro della sala dominata dalla statua di Pompeo, ex nemico del proconsole romano. Ad un tratto, cala il silenzio in sala quando una figura si staglia sulla soglia.

Tunica bianca drappeggiata da una stoffa rossa. Pochi capelli, occhi scavati e naso aquilino: davanti a me, con il suo solenne incedere temprato da mille battaglie, appare il grande Gaio Giulio Cesare.


“Inizia lo spettacolo, umano. Tieniti pronto ad assistere all’omicidio più famoso dell’epoca romana!”
“Cinismo, ne abbiamo? Una personalità importante sta per perdere la vita in modo violento. Non so, vuoi i pop-corn per assistere meglio allo spettacolo?”
“Come la fai lunga: non possiamo fare nulla per lui. Tanto vale, quindi, godersi questo spaccato di storia”.

Le idi di marzo – Perché, congiurati?

Un baluardo di Roma messo a tacere per sempre dai suoi concittadini. Visto così, l’omicidio di Cesare mi appare come la peggior ingiustizia della storia. Vedo Cicerone tranquillo, in attesa del massacro. Vorrei finisse diversamente, davvero. In me, si fa largo un sentimento di rivalsa: perché Bruto e gli altri congiurati avrebbero dovuto uccidere una personalità così importante? Un pensiero mi sfiora: “Se avessero avuto un minimo di ragione?” Basta, devo chiedere al felino che, naturalmente, sembra in attesa.

“Credevano davvero che volesse diventare il dittatore di Roma?”
“Più o meno. Ogni uomo di potere possiede una scadenza, il 44 a.C. segna quella di Cesare. Attirò diverse antipatie dopo l’annientamento totale delle forze di Pompeo e la sua ombra, ormai, sembrava pressare tutta Roma. Era amato ma il suo giogo appariva in continua espansione. Non sappiamo se volesse attuare un colpo di Stato ma una cosa è certa: era più vicino ad essere un sovrano che un proconsole”. “La Repubblica era davvero a rischio? Secondo il mio parere, non si sarebbe mai incoronato…”
“Sfumature, umano. Poteva anche non incoronarsi negando questa ufficialità ma, nei fatti, la sua influenza era quasi inarrestabile. La Repubblica ed il Senato, formalmente, non erano in pericolo: la libertà, invece, poteva essere limitata. O meglio: limitata per chi deteneva poteri decisionali. Non parliamo di repubblica: al mondo, anche nel tuo presente, non è mai esistita”.

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Gaio Giulio Cesare (Credit: pilloledistoria)

Le idi di marzo – “Tu quoqueBrute, fili mi!”

Vedo Cesare: fiero e potente che veleggia verso il suo scranno. Sembra davvero sia intoccabile. La sua toga sfarzosa lo culla mentre poggia le natiche sulla poltrona. I senatori tutti intorno si ammassano: l’organo che ha giurato di proteggerlo è pronto a farlo fuori. Un alveare, questo è diventato il Senato e Cesare appare come la Regina. Mi avvicino seguito da Cicerone, mi accorgo che uno dei miei occhi è chiuso come quando, al cinema, assisto ad un film horror.

“Guarda, umano: quello è Cimbro Tillio, colui che darà il segnale di morte. Il primo boia di Cesare!”
“Mi sembra molto spaventato, come tutti”.
“La maggior parte di questi galantuomini non ha mai ucciso nemmeno una mosca: ci pensa la servitù. Ecco, iniziano!”


Tillio afferra la toga di Cesare che, in un primo momento, aveva ignorato l’avvicinarsi dell’uomo. Il preconsole reagisce: “Ma questa è violenza bell’e buona!” Pochi attimi dopo, una pugnalata sferrata da uno dei fratelli Casca saetta da dietro ferendo il malcapitato.

Cesare non perde la sua vena da guerriero: afferra il braccio dell’assalitore e lo colpisce ferocemente con lo stilo. Gli altri congiurati, come un branco di lupi affamati, gli calano addosso: lo colpiscono a ripetizione in una macabra mattanza. Il membro del primo triumvirato, appurato il suo destino, si copre il viso con la toga e sistema la parte inferiore, coprendosi il corpo martoriato.

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“La morte di Cesare” di Jean-Leon Gerome (Credit: Wikipedia)

Nemmeno Cicerone resta impassibile: la sua coda guizza nervosamente e lo sguardo è completamente perso nel vuoto. Dal canto mio, sono paralizzato. Cerco orizzonti che non abbiano il colore rosso del sangue che, intanto, irrora l’indumento di Cesare. Coltelli insanguinati, congiurati che scappano urlando, altri rimangono sopra al malcapitato per assistere al suo ultimo rantolo.

Cesare, in un ultimo barlume di lucidità, riconosce Bruto, ovvero il figlio della sua amante. Quasi rassegnato, guarda il congiurato e con un flebile sibilo dice: “Anche tu, Bruto, figlio mio?” Il conquistatore della Gallia muore dopo ventitré coltellate, ai piedi della statua di Pompeo che fu l’ultimo dei suoi nemici. Brutto scherzo del destino. Distolgo lo sguardo dal corpo esanime e prendo posto su un seggiolino della Curia di Pompeo, non troppo lontano dal cadavere di Gaio Giulio Cesare. Attendo, non so bene cosa in realtà. Ma attendo.

Le idi di marzo – Il caos dopo la morte

Nella Curia e nelle strade scoppia il caos. Io e Cicerone percepiamo il frastuono che proviene da fuori ma, scioccati e lontani, tutto arriva ovattato. Lo hanno davvero fatto. Come se non lo sapessi. Vederlo, però, valica ogni lettura sui libri di storia. Il felino non sembra più così spavaldo e cinico: la scena ha fatto breccia. Prendo coraggio e biascico qualche parola:

“Cesare non c’è più. Tutto sembra così strano. Eppure, sapevo come sarebbe andata a finire…”
“La violenza è stata inaudita, quasi disumana. Ventitré coltellate, solo la seconda mortale. In pieno petto. Umano, è assurdo”.
“Hai notato la sua rassegnazione? Hai percepito il dispiacere nel vedere Bruto?”
“Era preparato: nei giorni precedenti aveva ricevuto presagi nefasti ma non credo si sarebbe mai aspettato di morire qui, ai piedi di Pompeo che lo scruta beffardamente!”


Già. Il suo ultimo nemico sembra essersi preso la più cruda delle vendette. Delle persone vestite in modo misero (schiavi, certamente) poggiano delicatamente il corpo di Cesare su una lettiga; il braccio destro del cadavere penzola fuori, senza vita. Mi assale un dubbio prepotente:

“Gatto, che fine faranno tutti gli assalitori di Cesare?”
“Moriranno tutti. Per ultimi, Crasso e Bruto nella battaglia di Filippi. Verranno sconfitti dal duo formato da Marco Antonio e Ottaviano. Si toglieranno la vita e dovranno fare i conti con Cesare nell’aldilà”.
“Possiamo andare, adesso?”
“Sì, qui non c’è più nulla da vedere”.

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L’esatto punto dove morì Cesare (Credit: Il Fatto Storico)

Le idi di marzo – Fine del viaggio: addio Cicerone!

Usciamo con la testa bassa, noncuranti del fuggi-fuggi, delle grida, dei pianti e delle imprecazioni. Ci dileguiamo da sconfitti, senza un valido motivo. La morte di Cesare è stata traumatizzante: la pelle d’oca non vuole abbandonarmi più. Cicerone non si è reso conto che il suo pelo rossiccio è ancora dritto in un moto di terrore. Decido di non farglielo notare: è stata dura per tutti e due.

“Cosa accadrà a questo luogo?”
“Verrà murato, nessuno dovrà più metterci piede. Il Senato non dovrà più riunirsi il 15 marzo e le ‘idi di marzo’ verranno ricordate come il giorno del ‘Parricidio’. Decisioni drastiche, alla fine”.
“Una sorta di Damnatio memoriae, quindi!”
“Esattamente, umano”

Torniamo sulla panchina che ha visto nascere questa avventura. Esausti, nonostante sia passata soltanto un’ora dal suo inizio. Mi siedo ma sento un tremolio che mi pervade il corpo. Mi preoccupo. Cosa potrà mai essere? Cicerone mi salta in braccio, allunga il collo per fissarmi occhi negli occhi.
“È il segnale: stai tornando nel tuo tempo. Addio, umano: sei stato un compagno d’avventure davvero interessante”.
“Io…non so davvero cosa dire, non sono granché capace ad esternare i sentimenti! Grazie, comunque: nonostante i fatti avvenuti oggi, torno arricchito. Merito tuo! Ci rincontreremo o questo è un addio?”

Lo vedo sorridere, finalmente. Cicerone mi guarda sorridente, nei suoi occhi non c’è alcuna traccia di sarcasmo. È sincero, lo sento.
Mi incontrerai in ogni pagina storica che, avidamente, proverai a leggere. Fatti delle domande, sii sempre così curioso ed io sarò sempre al tuo fianco. Magari, la prossima volta incontriamoci ad un matrimonio!

Cicerone in tutta la sua bellezza (Credit: La Stampa)

Lo accarezzo, sento le sue fusa ed il mondo acquisisce una luce diversa. In lontananza sento nuovamente i clacson ed i rumori della Roma moderna che avevo momentaneamente abbandonato. Ritrovo i ruderi di Largo di Torre Argentina. Sono a casa, sulla panchina che mi ha fatto perdere la via. Il gatto arancione non c’è più. Cesare è morto ma, da oggi, verrò qui ogni 15 marzo a rendere omaggio all’uomo che impresse un marchio indelebile sulla potenza senza tempo di Roma. Con la speranza di ritrovare Cicerone.

Le idi di marzo – Note a margine

Questo polpettone che vi ho somministrato è un misto tra fantasia e fatti realmente accaduti. Oggi, 15 marzo 2020, il web sarà rigonfio di articoli che tratteranno la morte di Cesare citando le idi di marzo. Io ho cercato, nella mia pazzia imperante, di rendere questo scritto diverso da tutti gli altri. Perché scrivere è un viaggio perenne che porta la mente a vagare in lidi lontani, meravigliosi ed impervi. Spero vi sia piaciuto, davvero.

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