All’indomani del (momentaneo) successo del vertice di Malta, Giuseppe Conte rincara la dose e parla della necessità di ricorrere al rimpatrio forzato dei migranti irregolari. Ma la situazione finanziaria dell’Italia e l’assenza di accordi con alcuni dei Paesi d’origine non lo permettono.
Un Trionfo. Così il governo Conte 2 ha accolto l’esito del vertice di Malta sui migranti dello scorso 23 settembre. Il Ministro dell’Interno Luciana Lamorgese ha affermato tutta raggiante che nel corso del summit si è raggiunto un accordo per un documento comune. Questa intesa di base verrà ora sottoposta agli altri Paesi UE.
Tra le novità principali c’è il punto che prevede il ricollocamento di tutti i richiedenti asilo, non solo di quanti godono dello status di rifugiato. Un altro nodo importante è quello relativo alla rotazione volontaria dei porti di sbarco. C’è poi la nota sulla redistribuzione dei migranti su base obbligatoria e non più volontaria.
Come si è detto l’accordo dovrà essere sottoposto agli altri Paesi dell’UE, e non è affatto scontato che venga accolto con calore. Il Presidente Conte sa perfettamente che l’intesa ratificata a Malta potrebbe risultare indigesta e finire congelata sine die. Per questa ragione ha parlato della necessità di lavorare sui rimpatri.
In realtà su questo fronte il precedente governo, presieduto dallo stesso Premier, ha fatto registrare prestazioni poco esaltanti. Il punto dolente sta come sempre nella impossibilità di reperire i fondi necessari ad attivare questa misura. Inoltre sarebbero necessari accordi con tutti i Paesi d’origine, che ad oggi non sussistono.
15.775 in due anni e mezzo: i numeri del flop dei rimpatri
L’ex Ministro dell’Interno può senza dubbio vantarsi di aver contribuito alla drastica diminuzione del numero degli sbarchi sulle coste della penisola. Ma sul versante dei rimpatri la gestione Salvini ha prodotto risultati deludenti in linea con quelli dei suoi predecessori.
Secondo le stime più recenti gli immigrati irregolari presenti sul territorio italiano sarebbero circa 500 mila. Nel 2017 il numero dei migranti riportati nei loro Paesi è stato di 6.514. Alla fine del 2018 le persone rimpatriate erano state 6.398. Nel periodo di tempo gennaio-giugno 2019 hanno abbandonato il territorio italiano solamente 2.839 irregolari.
Al primo posto della classifica troviamo i cittadini albanesi. Nel corso dei primi sei mesi del 2019 ne sono stati rimpatriati 680. La medaglia d’argento è andata agli irregolari tunisini (510 espulsioni). Con questi Paesi l’Italia ha stipulato precisi accordi per i rimpatri, insieme ad altri come Nigeria, Egitto e Gambia.
Voli Charter e personale al seguito: i costi onerosi del rimpatrio dei migranti
La ragione del fallimento della politica dei rimpatri sta tutta nei suoi costi esorbitanti. In base alle stime di Frontex il costo di questa misura è di circa 5 mila euro per ciascun migrante. Per rimandare indietro tutti gli irregolari presenti in Italia sarebbero necessari 2 miliardi e mezzo di euro.
Nel 70% dei casi si renderebbe necessaria la procedura coatta. Questo significa ricorrere all’utilizzo dei voli charter ed all’impiego del personale da inviare a bordo per accompagnare il migrante nel suo rientro. Nel 2016, per l’espulsione di 29 tunisini c’è stato bisogno dell’invio di 74 persone al seguito, con un costo di 115 mila euro.
L’altro impedimento alla misura dei rimpatri è quello dell’assenza di accordi con alcuni dei Paesi d’origine, soprattutto africani. Per ogni singolo individuo rimpatriato c’è bisogno di avviare un confronto con il Paese di provenienza. In caso contrario può accadere che la persona venga respinta all’arrivo in aeroporto.
Data l’attuale situazione economica italiana sembra difficile che il governo possa permettersi di spendere ingenti somme per il rimpatrio dei migranti. Soprattutto in vista dell’approvazione di una legge di bilancio onerosa, le cui coperture sono ancora avvolte nel mistero. L’annuncio del Premier, per ora, ha quindi tutto il sapore di un bluff.