Rinvenuti in una fossa comune, nei pressi di Panama, i corpi senza vita di sette persone, tra i quali cinque minorenni e una donna incinta
É questo, quello che è successo nella foresta della regione indigena dei Ngabè Buglè, definito dal procuratore Rafael Baloyes, “agghiacciante”.
La scoperta è stata possibile grazie alle testimonianze di tre indigeni, scappati dalle grinfie della setta.
Arrivati sul posto, infatti, altri 14 indigeni sono stati tratti in salvo: imprigionati, sequestrati, legati e gravemente torturati da una decina di esponenti del gruppo evangelico “nuova luce di Dio” (New Light of God).
I superstiti, seppur gravemente feriti, sono stati trasportati in ospedale grazie all’ausilio di elicotteri e trasportatori.
Durante le operazioni di salvataggio, gli agenti hanno trovato i membri della setta impegnati in un rito, celebrato in una sorta di chiesa in una fattoria. Li con loro anche una capra, pronta per essere sacrificata durante le fasi del rito.
Al grido di “pentitevi o morite” la setta infliggeva torture atroci agli indigeni, con l’aiuto di machete e Bibbie.
Poco distante scoperta la fossa comune, in mezzo alla giungla nella provincia caraibica di Bocos del Toro
Al suo interno, i corpi di cinque bambini di tenera età, una madre incinta e di una ragazza di 17 anni. Il procuratore ha reso noto che uno dei responsabili pare sia il nonno delle piccole vittime.
Da quanto ci è dato sapere dalle prime ricostruzioni, una visione avuta sabato da uno dei membri della setta avrebbe scatenato il massacro. Il membro ha dichiarato di aver ricevuto un messaggio da Dio: “si devono pentire oppure morire”.
“Agghiacchiante“, aggettivo usato dal procuratore, per definire l’espisodio che vede protagonisti i Ngabè Buglè, gruppo indigeno panamense, che già verte in condizioni di disagio e dove il tasso di povertà del Paese e l’analfabetismo raggiungono livelli alti.
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