Intervistare Igor Protti vuol dire fare un tuffo negli anni ’90 e uscirne con un sospiro nostalgico, consapevoli di essersi lasciati alle spalle un calcio che non tornerà. Lo Zar ne è stato protagonista e ha scritto capitoli importanti della storia italiana del pallone, a cavallo tra i due millenni. Il gol nel sangue, la dieci sulle spalle e tre grandi amori, Bari, Livorno e Messina, nella sua splendida carriera. Più di 200 reti messe a segno tra Serie A, Serie B e Serie C1, unico, con Hubner, ad essere stato capocannoniere in tutte e tre le competizioni. Con il tempo il calcio è cambiato molto, ma non abbiamo dubbi che ancora oggi avremmo tanto bisogno di Igor Protti.
Intervista a Igor Protti
Ecco cosa ci ha raccontato Igor Protti, l’ex attaccante di Bari, Livorno, Messina e Lazio.
Sei stato lo Zar di Bari per tanti anni e il Re di Livorno: da dove arrivano questi soprannomi? C’è una storia dietro?
“Onestamente non lo so, credo sia legato al mio nome, Igor, di origine russe. Considerando a Bari il legame con San Nicola e con quelle zone, il soprannome Zar potrebbe avere quell’origine”.
Capocannoniere in Serie A, B e C1: unico ad esserci riuscito insieme ad Hubner. Come ci si sente ad aver scritto un pezzo di storia del nostro calcio? Hai rimpianti?
“Ora che sono passati diversi anni, sono record che mi rendono orgoglioso. Purtroppo la gioia per il titolo di capocannoniere in Serie A è stata oscurata dal dispiacere per la retrocessione; in novant’anni non si è mai presentata una situazione simile, a dimostrazione del fatto che fu una stagione davvero particolare. In quegli anni erano quattro le squadre che retrocedevano ed era un campionato davvero molto difficile. Sono molto orgoglioso anche, insieme a qualche giocatore del Napoli, di esser riuscito a vincere la classifica marcatori in Serie A con una squadra del Sud, a cui sono molto legato. Non ho rimpianti: sono felicissimo di ciò che ho avuto e delle soddisfazioni che questo sport mi ha dato”.
L’esultanza del “trenino” di quel fantastico Bari è rimasta iconica: come nacque quel modo di festeggiare?
“È stata una casualità: al primo anno di Serie A arrivò dalla Colombia Miguel Guerrero e non parlava italiano, si spiegava in spagnolo. Ci raccontò di questo modo di esultare colombiano, che consisteva nell’andare vicino alla bandierina mettendosi a quattro zampe. Molti dicono che la prima volta in cui festeggiammo così fu a Milano contro l’Inter, ma in realtà fu in un Padova-Bari 0-2. Pedone segnò e andò alla bandierina e gli altri si accodarono; a fine partita però Guerrero ci disse che avevamo sbagliato e che solo l’autore del goal avrebbe dovuto mettersi a quattro zampe, con gli altri intorno. Ormai però l’esultanza del “trenino” si era consolidata e fece storia: fu la prima vera esultanza di gruppo”.
A proposito di Bari e Livorno, cosa pensi dei due progetti?
“A Bari si era toccato il fondo e per fortuna è arrivata una proprietà forte, importante, con una notevole esperienza nel mondo del calcio, dove ha ottenuto e sta ottenendo ottimi risultati. È una garanzia di forza, economica e gestionale, e credo che porterà presto il Bari di nuovo in alto: questa è una mia convinzione, oltre che una speranza. Livorno? In questo momento preferirei non parlarne”.
A quale club è rimasto più legato?
“Oltre a Bari e Livorno, ho trascorso tre anni molto importanti a Messina: scegliere diventa sempre molto complicato. Quando vengo a Bari mi sembra di tornare a casa, per il grande legame di affetto che c’è con la gente. Ho cercato di interpretare il calcio come tifoso, prima che come calciatore, e questo ha lasciato un ottimo ricordo nelle piazze in cui ho giocato”.
Qual è il goal che ricorda con più emozione?
“Ne scelgo uno per squadra. Con i biancorossi, il goal che mi è rimasto più nel cuore è quello del 2-1 contro la Cremonese del ’96; non è il migliore tecnicamente o esteticamente, ma è fatto di caparbietà, forza di volontà, che era ciò che volevo portare in campo. A Livorno, sicuramente il goal in Serie C segnato a Treviso alla penultima giornata di campionato, a tre minuti dalla fine, che ha dato agli amaranto la Serie B dopo trent’anni. Mentre a Messina, la rete in un derby, molto sentito, a Reggio Calabria, dove vincemmo 1-0; di ritorno in Sicilia, ci accolsero come se avessimo vinto il campionato”.
Chiudiamo con quest’ultima domanda: attualmente, c’è un calciatore in Serie A che somiglia a Protti? Su quali attaccanti punteresti per il futuro della Nazionale?
“Un giornalista e amico di Bari, Enzo Tamborra, che mi disse che mi rivedeva nei movimenti e nel modo di fare goal di Lautaro Martinez: seguendolo, ammetto che un po’ di vero c’è. Sono sempre però dell’idea che sia sbagliato fare paragoni, ma ogni calciatore ha le sue caratteristiche. Ad esempio a Bari dopo di me arrivò Marco Di Vaio, attaccante fortissimo, ma ancora molto giovane; la gente cercava di ritrovare le mie qualità in lui, ma non era corretto. Per la Nazionale, abbiamo un centravanti come Ciro Immobile che sta facendo cose straordinarie e che ci dà garanzie”.
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