Seneca, il filosofo esponente dello stoicismo. Per questo nuovo appuntamento della rubrica ClassicaMente, un’analisi al concetto di tempo esplicitato nel De brevitate Vitae.
Seneca: nulla appartiene all’uomo, tranne il tempo
Il De brevitate vitae è un’opera dedicata a Pompeo Paolino, contenuta nei Dialoghi. Il filosofo critica gli uomini che si lamentano per la brevità della vita. L’esistenza umana infatti, non è affatto breve ma è resa tale dagli uomini e dalla loro incapacità di impiegare il tempo a loro disposizione. Molti sprecano i giorni negli affari pubblici, i negotia: conducendo una campagna elettorale o dibattendo per un’eredità. Questo avviene perché gli individui non danno un valore stimabile al concetto di tempo: è facile che chiunque sia restio a donare il proprio denaro, ma concede con facilità il tempo, l’unica cosa per cui essere avari.
Seneca definisce con disprezzo gli occupati, ovvero, quella categoria di persone impegnate a sprecare il tempo in attività non essenziali. Uno dei famosi occupati a cui si rivolgeva era il retore Cicerone.Non solo i negotia, anche gli otia possono rivelarsi un incentivo allo spreco di tempo. Fra queste attività: banchetti, eccessiva erudizione storica per fatti poco significativi ( notizie sui giochi da circo), addirittura meritevoli di oblio.
Seneca, la polemica con Orazio e l’impiego proficuo del tempo
Il principio stoico su cui verteva il pensiero di Seneca era l’autarchia, ovvero, il dominio di sé senza dipendere dagli altri. Ed il primo passo per dominare se stessi è il dominio del proprio tempo a disposizione. Il primo che affronta la questione in letteratura latina è Orazio con il suo ”Carpe diem”. Tuttavia, il filosofo non concorda con il principio epicureo che esorta a vivere con passione causa la brevità della vita a disposizione degli uomini. Così si rivolge sulla disquisizione temporale nelle Epistulae morales ad Lucilium:
”Niente ci appartiene, Lucilio, solo il tempo è nostro”
L’unico modo per usare al meglio gli anni a disposizione è ritirarsi a vita privata dedicandosi alla filosofia. Questa infatti è l’unica attività che consente il dialogo con gli spiriti dell’antichità; in questo modo si può dialogare con le anime dei sapienti come se fossero contemporanei e, attraverso questa pratica, rendersi simili ad un dio.
La figura del sapiente
La figura del sapiente assume una funzione fondamentale nel trattato filosofico: solo il saggio, infatti, ha vissuto davvero il tempo a sua disposizione poiché è l’unico capace di utilizzarlo al meglio, adattandosi al volere della divinità, accettando il proprio destino attraverso l’uso della ragione. Tuttavia, è un ruolo talmente difficile da raggiungere che, Seneca, decide di porre una figura intermedia: il proficiens. Quest’ultimo sa cos’è il bene, si è già immesso sulla strada per raggiungere la meta ma è ancora troppo debole per farla sua, e probabilmente, mai ci arriverà. Lo stesso Seneca dice di appartenere a questa categoria. Ancora nelle Epistulae morales ad Lucilium afferma:
”La cosa più vergognosa è perder tempo per negligenza. Pensaci bene: della nostra esistenza buona parte si dilegua nel fare il male, la maggior parte nel non far niente e tutta quanta nell’agire diversamente dal dovuto.”
L’otium, quindi, rappresenta l’ideale di vita contemplativa aderente alla filosofia stoica. Un ideale a cui l’uomo deve tendere sempre, seppur immerso nel proprio tempo.
Passato, presente e futuro
Il tempo dell’esistenza è scandito da presente, passato e futuro. Il presente è l’unica scansione temporale che l’uomo può dominare; il futuro, infatti, è nebuloso ed imprevedibile. Peculiarità del saggio è non rimandare nulla a domani e non preoccuparsi del futuro. Il passato è invece immutabile. Il saggio fa tesoro delle esperienze passate rievocando solo le azioni virtuose. Gli occupati, definiti da Seneca come stolti poiché presi da occupazioni effimere, non praticano la rievocazione dei tempi andati: se si fermassero a riflettere su quello che fu, infatti, avrebbero la consapevolezza di essersi affannati senza concludere nulla, quindi, inutilmente. Gli occupati restano invischiati nell’illusione di rimandare l’otium e la cura dello spirito alla vecchiaia: pratica impossibile se si è passata una vita in condizione di spreco.