La scorsa settimana ci siamo soffermati sull’indimenticabile successo della Virtus Roma di Valerio Bianchini in Coppa Campioni. Quest’oggi, la figura del “Vate”, fa ancora da protagonista. Funge da trait d’union per raccontare un’altra storia di “notti europee” tinte d’azzurro. Infatti, prima che gli dei del basket soggiornassero per un breve, ma intenso, periodo nella Capitale, già una cittadina della Brianza godeva delle attenzioni del Vecchio Continente. Stiamo parlando, ovviamente, di Cantù. Una piazza storica del nostro basket. Ma, soprattutto, esempio di come non esistano reali limiti da porsi nello sport come nella vita. Basta, a volte, essere dotati di sana lungimiranza. Cosa che nella dirigenza canturina dell’epoca, di certo non mancava. A cominciare dal presidente Aldo Allievi, assoluto protagonista dell’epopea di “Cantucky”. Uno che sapeva pescare il meglio dalle idee alla base del modello States.
Cantù, un progetto lungimirante
Fu sua la “geniale” trovata del “College Cantù”. Azzeccatissima, sopratutto poi, per la sfilza di giganti della nostra pallacanestro che questa scuola ha partorito. Senza dimenticare l’apporto notevole di Lello Morbelli. Un General Manager coi fiocchi. Esemplare sia nell’aspetto tecnico che per quanto riguarda la sua peculiare posatezza. Non a caso è il dirigente italiano più vincente a livello internazionale. Ciò anche grazie al discusso passaggio ai “nemici” dell’Olimpia targata Gabetti. Questi due signori, dunque, si inventarono qualcosa di, allo stesso tempo, vincente e inedito. La provincia è emersa alla grande. Se nella stessa regione si viveva l’accesissimo scontro tra Milano e Varese, Cantù non ha mai considerato di fare “da candela”.
I brianzoli si sono creati il loro habitat, però, fuori dai confini nazionali. Tanto che, ancora oggi, rimane il secondo club più titolato a livello europeo dopo il Real Madrid. Fino all’inizio degli anni ’80, però, la coppa più ambita non aveva ancora fatto il suo accesso nella bacheca del club. Non che ci si potesse lamentare. Negli anni ’70 Cantù aveva, comunque, conquistato 3 Coppe Korac, 3 Coppe delle Coppe e un’Intercontinentale. Senza dimenticare il secondo Scudetto canturino del 1975. Vincere si vinceva eccome, ma la sensazione era quella che si stesse ancora aspettando il salto definitivo. Nel 1979 la Squibb Cantù viene, dunque, messa nella mani di Valerio Bianchini. Un allenatore emergente desideroso di farsi un nome in terra brianzola.
Cantù, una fucina di talenti
Nel primo anno “bianchiniano” la squadra si ferma in finale sia di Coppa delle Coppe che in quella Scudetto. La stagione seguente, 1980-81, in Italia non c’è storia. Cantù conquista il suo terzo tricolore. Il top-scorer è Bruce Flowers, mentre l’uomo simbolo è indiscutibilmente Pierluigi Marzorati. Soprannominato “l’ingegnere volante”, non solo per la sua laurea in ingegneria civile, ma soprattutto per aver deliziato il pubblico canturino con i suoi passaggi a mezz’aria. Una vera e propria bandiera per il club. Tanto da possedere un curioso record. Infatti, “Il Pierlo”, nel 2006, a 54 anni suonati ha deciso di indossare nuovamente la canotta bianco-blu per gli iniziali 90 secondi del match contro la Benetton. L’unico cestista ad aver giocato nella stessa compagine per 5 decadi consecutive.
E così, con lo Scudetto sul petto, Cantù ha l’occasione di giocare nell’Europa delle grandi. In Brianza, oltre a Flowers, arriva un altro americano. Si tratta di CJ Kupec, già visto in Italia con l’Olimpia della “Banda Bassotti” di Dan Peterson. Un maestro del tiro da 3, quando ancora non esisteva il tiro da 3. Nelle mani aveva grandi qualità nel tiro dalla distanza, peccato che il regolamento venne aggiornato solo nel 1984. E, dunque, le sue “bombe” valessero come un canestro qualsiasi. Nella stagione 1981-82, Bianchini ha, però, sotto mano l’esplosione di un giovane talento. La Serie A conosce, una volta per tutte, Antonello Riva. Detentore del record di punti della massima serie e miglior marcatore in una singola gara, con 46 punti, in nazionale azzurra. Anche lui non riuscì a dire di no alle sirene milanesi, ma, ironia della sorte, con l’Olimpia vinse solo una Coppa Korac.
Al top dell’Europa
Nell’82, però, il sogno Scudetto si infrangerà ai quarti di finale. La Virtus Bologna elimina Cantù con un 2-1 maturato nella bella al Pianella. In Coppa Campioni, invece, le cose vanno diversamente. La prima fase del torneo è una passeggiata… sugli avversari. Si arriva, dunque, al girone composto da 6 squadre. Tra i canturini e la finale di Grenoble vi sono il Partizan Belgrado, il Barcellona, l’EBBCC Den Bosch, il Pana e il Maccabi Tel-Aviv. L’epilogo sarà proprio contro quest’ultimi. Bianchini non è preoccupato, conosce gli israeliani come le sue tasche.
Infatti, Cantù non soffre particolarmente in difesa. Flowers e Riva controllano rispettivamente, i due assi avversari, Earl Williams e Berkowitz. Poi l’attacco funziona a meraviglia. Marzorati, il regista dalle mani d’oro, ne fa 18 ma il top scorer è CJ Kuper con 23 punti. Finisce 86-80. Cantù diventa il più piccolo comune europeo a guardare l’Europa cestistica dall’alto. Così come il primo club a conquistare Coppa Campioni, Coppa Korac e Coppa delle Coppe. La cittadina brianzola ha vinto tutto.
Una finale tutta italiana
Ma non finisce qui. L’anno seguente le ambizioni non sono andate a scemare. Siamo nella stagione 82-83. Cantù è ora sponsorizzata Ford. Cambia anche la guida tecnica. Il Vate è tornato a Roma e al suo posto si presenta Giancarlo Primo, ex ct azzurro. Anche il roster subisce alcuni stravolgimenti. L’NBA chiama e Bruce Flowers risponde. I Cavs lo aspettano. Mentre CJ decide di scendere in A2. Andrà a Bergamo, dove ad attenderlo c’è coach Recalcati, un’altra icona canturina. Al loro posto arrivano Wallace Bryant, appena uscito dal college, e Jim Brewer, difensore ex Lakers recentemente fregiatosi dell’anello conquistato al fianco di Magic e Kareem-Abdul Jabbar. Anche per quest’anno lo Scudetto si rivela un obiettivo secondario, mentre continua la striscia di successi in campo internazionale.
Arriva prima la Coppa Intercontinentale, dove Cantù domina con nonchalance un girone di sei squadre, tra cui il Maccabi. Stessa cosa in Coppa Campioni. I primi ad andare k.o. sono i lussemburghesi del Dudelange, poi tocca agli svizzeri dell’Olympic Friburgo. Il girone da sei prevede le sfide con Real, CSKA Mosca, Cibona Zagabria, Maccabi e Billy Milano. La finale sarà proprio contro quest’ultimi. Un derby tutto italiano. Anzi, lombardo. L’Olimpia è un avversario più che temibile. Coach Dan Peterson può schierare due giocatori come Mike D’Antoni e un certo Dino Meneghin. Ci si aspetta, dunque, una gara memorabile. Il clima e il pubblico è quello delle grandi occasioni. A Grenoble ci sono 10.000 spettatori, di cui 9.000 dalla penisola.
Cantù, doppietta completata
Se un tifoso canturino avesse potuto scegliere un inizio ideale, beh sarebbe stato quello. Cantù tocca +15 e Dino Meneghin è costretto ad abbandonare il campo dopo 5 falli. In poche parole, è fatta. Ma attenzione, dall’altra parte c’è coach Dan Peterson. Infatti, il Billy non molla un centimetro. Riesce, infatti, a raggiungere il -1 a 13 secondi dall’ultima sirena. E così Milano tenta l’assalto finale. Mike D’Antoni scarica per Boselli, che dall’angolo non trova però il canestro. A rimbalzo c’è Vittorio Gallinari, papà di Danilo e protagonista dell’Olimpia di quegli anni, che tenta la lay-up per i due punti della vittoria. Non aveva, però, calcolato il salto da felino di Jim Brewer. Stoppata monumentale sulla sirena che sigilla i risultato sul 69 a 68. Cantù si conferma campione.
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