“Dreams are my reality / the only kind of fantasy” canta Richard Sanderson, mentre sulle note della canzone un padre intrattiene le tre figlie con cui vive, blindati dal resto del mondo. Le tre sorelle, Stella, Aria e Luce sono rinchiuse in una casa dopo la morte della loro madre. Il padre esce ogni giorno con lo scafandro, attraversando paesaggi post-urbani per procurarsi il cibo; la realtà esterna viene descritta come apocalittica, in seguito ad una eruzione solare: insomma, in un periodo indefinibile in cui il mondo sembra essere diventato off limits. Questa è la trama di Buio, il nuovo lungometraggio della regista Emanuela Rossi, qui alla sua opera prima.
Dallo scorso 7 maggio il film è visibile in streaming e nella sala virtuale di Mymovies fino al 21 maggio. Presentato alla Festa del cinema di Roma nella sezione «Alice nella Città» 2019, Buio ha vinto il Premio Fioretta per il cinema italiano.
Una storia che, attraverso le sue metafore, racconta anche il rapporto delle donne con il mondo : “Mi dispiace bambine, ma non siete abbastanza forti per stare là fuori“, dice loro il Padre; soltanto i maschi possono uscire in quel mondo “distrutto” e “malato”, che sembra piuttosto popolato da zombie che da esseri umani.
Ma non è soltanto il punto di vista femminile quello che Emanuela Rossi ci racconta in questo lungometraggio: “Nel film si intrecciano lotta al patriarcato e al consumismo” dichiara infatti in una intervista, che cerca di aprirci gli occhi per fare, insieme alle protagoniste, una riflessione sul mondo di oggi.
MM : Emanuela, prima giornalista nei magazines femminili a Milano, poi sceneggiatrice e regista. Prima un corto e poi un lungo. Come è nato tutto?
E.R. : Beh, io avevo frequentato il Dams Storia del Cinema, poi però non ho subito avuto il coraggio di venire a Roma a fare il Centro Sperimentale, e quindi la decisione di diventare regista è stata posticipata di dieci anni, passati nelle riviste di moda e di design. Quando mi sono decisa, sono venuta a Roma e ho realizzato il mio primo corto, Il bambino di Carla, che è stato alla cinquina dei David di Donatello e dei Nastri d’Argento. Da lì, passando per altri due corti, ho avuto la possibilità di fare una serie tv come co-regista. D’accordo, non ho fatto il Centro Sperimentale ma ho fatto una bella gavetta. In una serie tv s’impara tantissimo. Dieci ore al giorno di set a fare scene di tutti i tipi, anche sette al giorno. Una volta in un giorno ho girato sedici pagine. Siccome sono stata brava e ho rispettato sempre le consegne, ho acquisito credibilità, così quando ho presentato il progetto del lungo, sono stata ascoltata.
MM: Buio mette in scena (o meglio su schermo) un futuro distopico ma allo stesso tempo racconta di attualità, giusto?
E.R. : Che dire? Ormai la distopia è nella nostra vita, tutto è distopico. Nel film si vede chiaramente. I luoghi che dovrebbero rappresentare la normalità, come il centro commerciale o il paesaggio urbano, sono paradossalmente i più disastrati. Mentre nelle case tutto sommato si vive protetti. Ecco, se immagino un futuro penso a questo. Credevamo, con la modernità, il consumismo, la globalizzazione, di aprirci verso un futuro libero, delocalizzato, universale e invece ciò che sta succedendo, gli eventi negativi, la pandemia e non solo (presto si farà sentire il riscaldamento globale) ci riportano sempre più dentro le case, vissute come rifugi. Da questa sensazione è nata l’idea di Buio, di un Padre che ha perso la ragione perché troppo preoccupato di proteggere le sue donne, che sente come deboli. Solo che così facendo, erge muri e rovi di spine attorno a loro, le isola in un castello fatato ma popolato di fantasmi. Le mette in prigione. Le minaccia. Insomma, diventa il Barbablù di una favola nera.
MM : Favola e realtà… due dimensioni troppo spesso inconciliabili. Eppure lei le ha conciliate nel suo Buio. Cosa ne pensa delle “favole attuali”?
E.R. : Grazie, mi fa un bel complimento, se sono riuscita a conciliarle. Io sono una iperrealista, vivo nella realtà, sono capace di muovermi nel mondo, ma a volte mi chiedo se davvero vedo la realtà che vedono gli altri, oppure ne vedo una tutta mia… altrimenti non mi sembrerebbe tutto così a rischio, così distopico! Per questo non mi sembra così difficile mettere in scena immagini del genere. Detto questo, ho passato gli ultimi anni a leggere favole, avendo una bambina piccola, quindi è ovvio che sono entrata, anzi tornata nel mondo delle favole. Soprattutto le illustrazioni mi hanno stregata. Trovo che grandi autori come Nicoletta Ceccoli (le sue Creature celesti sono straordinariamente presenti nel film, come “capitoli” del film) e Benjamin Lacombe riescano ora a cogliere l’immaginario collettivo in modo molto profondo, almeno a me arriva molto.
Posso dire che la Ceccoli, che non ho mai incontrato di persona, è stata una grande ispiratrice del film. Rispetto alle favole attuali, non mi piacciono le rivisitazioni a tutti i costi. Cenerentola è Cenerentola, non finisce con lei che va sulla luna, per dire, ho preferito leggere a mia figlia sempre le versioni tradizionali. Conosciute queste, se vorrà, potrà spaziare. Poi è ovvio che servono favole nuove. Tutto Rohal Dahl ci ha appassionato. Però per esempio non ho amato affatto Geronimo Stilton, o cose di questo tipo, le sento davvero vuote. Ci hanno interessato molto le storie di ragazze coraggiose. Ecco sì, creiamo nuovi modelli femminili. Io, nel mio piccolo, con il personaggio di Stella, ma anche di Luce ed Aria, ci ho provato.
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