Metropolitan Magazine ha avuto il piacere di intervistare Stefano Udassi, tecnico del Sassari Latte Dolce, squadra militante nel girone G di Serie D. Con l’allenatore dei sardi abbiamo parlato della ripresa del calcio in Italia che sta diventando sempre più un tabù.
Tanto in Serie A, quanto in Serie D, c’è infatti chi vorrebbe ripartire ad ogni costo e chi, invece, vorrebbe chiudere tutto e dire arrivederci al prossimo anno.
Pareri contrastanti che vivono in una situazione delicata che sembra non lasciare intravedere alcuna luce in fondo al tunnel. “Bisognerebbe seguire l’esempio della Bundesliga” dicono alcuni, “senza le giuste indicazioni-disposizioni sanitarie noi non giochiamo” dicono altri. È tutto un grande caos.
Di questo e di molto altro, come detto, abbiamo parlato con il Sig. Udassi che ci ha anche fatto menzione del suo passato da calciatore e dei suoi sogni futuri come allenatore. Ecco a voi la nostra lunga chiacchierata.
Serie D, Udassi: “il campionato per me è chiuso, ma se ci dessero il via libera per giocare, noi saremmo pronti”
Sig. Udassi partiamo dal quesito più gettonato del momento: la Serie A, come abbiamo sentito, potrebbe ripartire il 13 giugno, lei crede che anche per la Serie D ci sia qualche speranza di ripresa?
Guardate io ho parecchi dubbi. L’attuazione dei protocolli sanitari richiesti sarebbe difficile per una squadra di Serie D. Il calcio per noi addetti ai lavori, allenatori e giocatori, è una passione. Una passione che la fortuna ha voluto fosse anche un lavoro, una fonte di guadagno. Però credo che, allo stato attuale delle cose, non ci siano i presupposti per riprendere.
Il campionato per lei quindi è bello e chiuso, ma nel caso in cui si riprenda e tenendo conto dell’attuale zona playoff in cui si trova il suo Sassari Latte Dolce, ecco, le chiediamo, lei disputerebbe i playoff se le dessero la possibilità di farlo?
Certo che sì. Se ci venisse dato l’ok dal settore sanitario e se tutte le misure cautelative venissero applicate nel giusto modo, ovvio che saremmo pronti a tornare in campo. In fondo è il nostro lavoro, la nostra passione. Il campo ci manca tantissimo. Sono ormai due mesi che non giochiamo. Quindi ripeto se ci venisse dato l’ok, assolutamente sì, non ci tireremmo indietro. Questo è fuori discussione.
In caso contrario invece, cioè se il campionato non dovesse riprendere, come pensa si debba agire in termini di promozioni e retrocessioni?
Questa è una domanda delicata (ride). Credo sia compito di chi di dovere prendere decisioni riguardanti tali questioni. Non si può pensare di accontentare tutti, credo sia normale. Io sono del parere che le decisioni vanno prese comunque, a prescindere da quelli che saranno i contenti e gli scontenti. Comprendo di essere l’ultima persona a poter parlare di queste situazioni però ritengo sia giusto mandare in Serie C le prime in classifica. Per quanto riguarda le zone retrocessioni onestamente non saprei come si potrebbe agire. Tra retrocessioni dirette e playout il discorso è molto complicato. Davvero non saprei.
Udassi: “comunque vada a finire sono orgoglioso del mio Sassari Latte Dolce”
Sulla scia di quanto appena detto, le chiediamo dunque: in caso di mancata ripresa, accetterebbe comunque il fatto di “aver perso” un eccellente 5° posto col suo Sassari Latte Dolce?
Mah, perdere. Guardate, posso dirvi che siamo tutti molto dispiaciuti perché non abbiamo potuto terminare questi ultimi due mesi di campionato con la probabile appendice dei playoff. È normale che siamo tutti rammaricati, però va anche detto che ciò che regna nelle nostre menti è l’auspicio che tutto possa tornare presto alla normalità. Qui non parliamo semplicemente della ripresa del calcio, ma soprattutto della ripresa della vita quotidiana delle persone. L’importante è ricominciare a vivere le nostre vite come facevamo un tempo, tutto il resto viene dopo. Noi siamo orgogliosi del percorso che abbiamo fatto come squadra. Da due anni a questa parte, cioè da quando sono arrivato sulla panchina del Sassari Latte Dolce, la società è cresciuta tantissimo e continua a farlo. Non dimenticando, tra l’altro, che siamo la seconda squadra di Sassari; la prima è la Torres. Siamo una piccola realtà che con lavoro e umiltà si è guadagnata uno spazio da protagonista in questa Serie D. Per due anni di fila siamo arrivati ai playoff e in questo campionato siamo stati, per 13 gare di fila, in testa alla classifica. Abbiamo avuto poi qualche problema durante il percorso, ma ci siamo comunque ripresi bene andando anche a vincere a Torre del Greco contro la Turris. Quella vittoria aveva acceso ancora di più l’entusiasmo, purtroppo il Coronavirus ha rovinato tutto. Resta comunque l’orgoglio di aver disputato un ottimo campionato. Non era facile ripetersi, ma ci siamo riusciti.
Quindi l’anno prossimo siederà ancora sulla panchina del Latte Dolce?
Si, credi di sì. Quando l’anno scorso ho firmato il contratto che tuttora mi lega alla società, l’accordo era sulla base di due anni. L’idea, sia mia che della società, è quella di continuare insieme. Dovremmo parlarne, ma credo non ci saranno problemi.
Mister Udassi, tra passato e presente: “sognare non costa nulla”
Andando più sul personale Sig. Udassi, volevamo chiederle: durante la sua lunga carriera da calciatore lei si è diviso tra C1, C2 e Serie D. Volevamo sapere quindi, qual è la piazza a cui è rimasto più legato, l’esperienza che ricorda con più gioia ed emozione?
Io sono sassarese DOC. Sono nato e cresciuto a pochi metri dal Vanni Sanna o Acquedotto (stadio in cui giocano la Torres e il Latte Dolce ndr). Sono stato 7 anni nella squadra della mia città. Per 7 anni ho indossato la maglia della Torres della quale sono stato anche capitano. Sono stati anni belli, ricchi di gioie e soddisfazioni. La squadra che mi ha dato di più in assoluto è senza dubbio la Torres. Ho coronato il sogno che avevo da bambino.
Quindi in futuro si vede sulla panchina di quella che, attualmente, è la sua rivale cittadina?
E chi lo sa. Mi considero un professionista. Sto molto bene al Latte Dolce, però la Torres è sempre la Torres. Non posso negare che mi piacerebbe allenarla in futuro. Sarebbe molto bello, nonché un grande orgoglio. Quando ho iniziato la mia carriera da allenatore ho fatto molta gavetta. Sono partito dalla seconda categoria fino ad arrivare alla Serie D in cui mi trovo adesso. Amo il calcio e non nego di avere grandi ambizioni. Un giorno mi piacerebbe misurarmi in categorie superiori. Pian piano spero di poter realizzare questo mio sogno.
Il suo sogno quindi è quello di arrivare magari in Serie A un giorno?
Credo che i sogni esistano e che allo stesso tempo vadano coltivati. Allenare in Serie A un giorno? Perché no, sognare non costa niente. I sogni danno forza e convinzione. Sono una persona molto umile che è sempre partita dal basso; anche quando giocavo è stato così.
E da calciatore non è mai stato vicino ad una categoria superiore alla C1?
Diverse volte. Un anno con la Torres sfiorammo addirittura i playoff per la B. In quegli anni poi capitò di ricevere qualche offerta da squadre di categorie superiori, ma avevo fatto la scelta di continuare a giocare con la maglia della mia città. Non ho rimpianti e se potessi rifarlo, lo rifarei altre mille volte. Sono orgoglioso di quello che ho fatto.
E quali squadre l’avevano cercata?
Un anno mi cercò il Cagliari. Poco dopo, la Reggina.
Entrambe militavano in Serie B al tempo?
Si, esattamente.
Sulla base della sua esperienza passata da calciatore e di quella attuale da allenatore, ha notato delle differenze tra i campionati di 15-20 anni fa e quelli attuali?
La differenza che mi sento di evidenziare più di tutte è quella riguardante i fuori quota perché il primo anno in cui misero questa regola, se non sbaglio, era il ’93-’94. Fondamentalmente questo. Poi comunque il calcio, in 20 anni, è cambiato tantissimo. In alcuni casi anche in meglio. Anche se, devo dire, la regola degli under ha cambiato radicalmente le rose delle squadre. Questa regola ha cambiato molto il mondo della Serie D perché ogni squadra deve avere un determinato numero di under in rosa.
Lei ritiene sia giusta questa regola?
Io credo che vada leggermente modificata. Se fossi io a decidere opterei per il format della Serie C dove sono le società a decidere se investire su 3-4 ragazzi giovani, oppure no. Sono del parere che spetti alle società decidere se far giocare un cosiddetto grande oppure il ragazzo giovane. Sicuramente è giusto tutto ciò e mi rendo conto che ci siano dei pro e dei contro, però sono anche del parere che i ragazzi debbano imparare a meritarsela la titolarità in squadra e a non cullarsi su una regola che permette loro di giocare. Come posso considerare under, ad esempio, un ragazzo del ’99? Un ragazzo del ’99 ha 21 anni e a 21 anni, per quanto tu possa essere considerato under, o hai le capacità o non le hai.
Quindi lei è per la meritocrazia?
Assolutamente sì. Pensate che quando giocavo io bisognava far la guerra anche solo per andare in panchina. Questo perché non era come oggi che a referto si va in 20. Ai miei tempi la distinta era costituita da 16 elementi, quindi anche il ragazzino, come tutti gli altri, doveva guadagnarselo il posto in squadra. A me piace lavorare con i giovani intendiamoci, perché se il giovane è bravo, gioca. Però sì, sono per la meritocrazia.