Dopo 18 mesi di prigionia rientra in Italia Silvia Romano, la volontaria di origini milanese che si era recata in Africa per una missione umanitaria dove un gruppo di terroristi la catturarono. Molte polemiche politiche sorsero intorno alla vicenda per molti giorni; critiche e violenti attacchi ci furono per la decisione maturata durante la cattività di convertirsi alla religione Islamica.

Silvia Romano: una vicenda ancora da chiarire

Silvia Romano è una ragazza di origini milanesi, di 23 anni, studentessa di mediazione linguistica, e volontaria presso Africa Miele Onlus, un’associazione marchigiana il cui scopo è sostenere lo sviluppo dei bambini nei paesi più poveri del mondo.

La ragazza è partita con lodevole spirito di entusiasmo e altruismo verso il Kenya -purtroppo di questo spirito di umanità ne siamo sempre più privi- nel Novembre 2018. Dal Kenya la giovane si è spostata poi a Chakama, un villaggio a 80 km da Malindi. Numerose foto e riprese mostrano Silvia perfettamente a suo agio con la popolazione locale e con i bambini di cui è spesso circondata. Le intenzioni sono chiaramente lodevoli e più che mai ammirevoli ma una riflessione importante occorre maturare riguardo ad alcuni profili di imprudenza che probabilmente ci sono stati da parte delle organizzazioni che non hanno valutato evidentemente tutti i rischi che una giovane poteva correre.

Silvia Romano è stata catturata, a quanto si apprende da varie fonti, mentre era sola, fatto già grave, nel suo appartamento, in una zona poco centrale, del villaggio che assisteva. Il rapimento è riconducibile alle milizie del gruppo terroristico di al Shaab che pare avessero proprio intenzione di sequestrare la ragazza.

Ovviamente la Onlus ha smentito ogni tipo di imprudenza ma è lecito quantomeno sollevare delle perplessità.

Il riscatto e il ritorno in patria.

Al termine di 18 mesi i terroristi decidono di rilasciare la ragazza. È il 10 Maggio quando Silvia viene liberata nei pressi di Mogadiscio, capitale della Somalia, per fare subito ritorno in Italia. Si può discutere infinitamente se è stato lecito o meno che l’Italia abbia pagato o meno il riscatto per la ragazza, in realtà non è stato questo che ha colpito l’opinione pubblica.

Peraltro si vuole ricordare che tutti i governi hanno messo in campo ogni forma di attività diplomatica per riportare a casa i propri cooperanti vittima dei terroristi. Si ricordi per esempio il caso delle “due Simone”, Simona Torretta e Simona Pari, rapite in Iraq il 7 Settembre 2004 e rilasciate 22 giorni dopo. Ma sono molti i rapiti (con annessi presunti riscatti) che rafforzano la lista.

Ciò che nello specifico di questa vicenda ha suscitato una forte enfasi è stata la conversione della ragazza alla fede islamica. Questa scelta è stata letta da una parte della stampa, della politica e dell’opinione pubblica come un vero e proprio tradimento nei confronti dell’Italia.

Silvia Romano il nuovo casus belli

Quando la ragazza ha ammesso di essere stata trattata bene dai suoi carcerieri si è quasi gridato allo scandalo. L’opinione pubblica sarebbe stata più felice nel saperla torturata da degli aguzzini (che restano comunque tali).

Il problema è un altro: in un momento storico in cui si invocano, giustamente, i diritti costituzionali sembra che venga negato ad una giovane il diritto al culto.

In più pare non si vogliano contestualizzare le circostanze entro cui è avvenuta la conversione: la ragazza che già mostrava un’ovvia sensibilità verso la cultura di quei Paesi, è stata letteralmente rinchiusa e a stretto contatto per 18 mesi con il gruppo che la teneva sotto pressione. È plausibile che il Corano era il solo libro che abbia avuto la possibilità di leggere. In un contesto di simile pressione psicologica e fragilità umana non dovrebbe stupire anche un mutato profilo ideologico.

È piuttosto di dubbio gusto il pretestuoso uso di una certa stampa e di una certa fazione politica della vicenda per allarmare i cittadini rispetto ad un presunto Stato debole che si piega di fronte ai terroristi pagando un lauto riscatto.

Silvia Romano diventa quindi un casus belli tra squadriglie politiche già il lotta tra loro e sempre alla ricerca di occasioni per muoversi contro la macchina del fango. Una ragazza di 23 anni, mossa da sinceri valori umani, non può diventare oggetto di attacchi personali, si possono civilmente contestare le idee nell’ambito di un dibattito non personalistico e soprattutto non ideologico.