Una condanna dopo 30 anni
Quando Rosalia Pipitone, detta Lia, morì crivellata di colpi il 23 settembre del 1983 a Palermo, aveva solamente venticinque anni. Era la figlia di Antonino, boss dell’Arenella, e la sua morte avvenuta durante una rapina in farmacia rimase un giallo misterioso per più di trent’anni.
Ora, invece, la seconda sezione della Corte di assise d’appello conferma la condanna. Presieduta da Fabio Marino, la corte condanna a 30 anni i boss Vincenzo Galatolo e Nino Madonia per l’omicidio di Rosalia Pipitone.
La storia di Lia, morta per la sua libertà
Dietro la messinscena della rapina, si nascondeva un delitto d’onore. Sembra una perfetta trama di un vecchio film anni ottanta, e invece è la triste vicenda di Lia Pipitone. Una ragazza uccisa a Parlermo perché disonorava il padre. In che modo? Lia aveva intrecciato una relazione extraconiugale mentre aveva un bambino piccolo. Era questa la colpa da scontare per aver macchiato il nome della propria famiglia, a partire da quello del padre-boss Nino Pipitone. La rapina era stato l’espediente per nascondere quello che, a tutti gli effetti, era un delitto premeditato.
Se all’inizio il primo processo vide il padre assolto, e i boss Vincenzo Galatolo e Nino Madonia a giudizio; nel 2018 arriva finalmente una prima condanna, confermata solamente adesso dalla seconda sezione della Corte di assise d’appello.
I delitti di onore si esercitano su una sola legge: il giudizio. Neppure la resistenza di Lia fermò l’accecata decisione di scegliere la morte piuttosto che la critica. Le situazioni incresciose diventano, in situazioni mafiose, una macchia che non riconosce né figli né amori. L’esecuzione dell’omicidio di Lia Pipitone avvenne nel mistero, oggi ha una giustizia che per l’attesa ottiene la stessa pena.
Dopo 30 anni arrivano le condanne per l’omicidio di Lia Pipitone, la ragazza uccisa a Palermo per una storia d’amore sbagliata.
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