Minuta e spalle larghe. Occhietti blu e mento pronunciato a sorreggere un sorriso birbante, le labbra pronte a chiudersi in un pianto e uno sguardo coraggioso da fiera femminista e talentuosa attrice. È un’attrice con la A maiuscola, Frances McDormand. Lei, nei personaggi, ci entra dentro, li vive, li racconta. La sua dimensione è adorata dal pubblico, apprezzata dai registi, ancor di più dalla critica. Lo dimostrano i premi vinti e lo testimonia tutto ciò che di lei arriva al pubblico.
Gli studi e l’esordio con i Coen
Nata il 23 giugno 1957 a Gibson City (Illinois) come Cynthia Ann Smith, viene adottata all’età di un anno e mezzo e ribattezzata Frances Louise McDormand. Il padre adottivo è un pastore della congregazione protestante “Discepoli di Cristo” e tale posizione porterà la famiglia a diversi traslochi fino a stabilirsi a Pittsburgh, dove Frances si diploma e comincia ad avvicinarsi alla recitazione. Dopo una laurea in Teatro al Bethany College, in West Virginia, consegue un master di recitazione all’Università di Yale. Dopo un primo ruolo sui palcoscenici di Trinidad e Tobago, nel 1984 arriva il debutto a Broadway in un revival del dramma “Awake and Sing!” e sul grande schermo nel ruolo della moglie infedele in “Blood simple – Sangue facile”, film che segna l’esordio dei fratelli Coen (Joel e Ethan) nel mondo del cinema.
Tra teatro, cinema e televisione
Quello con i Coen è un sodalizio che va ben oltre le pellicole (son ben sette le opere dei fratelli con l’attrice presente nel cast). Lo stesso anno dell’esordio, infatti, Frances sposa Joel e l’anno successivo la coppia si trasferisce nel Bronx, dove condivide la casa con Ethan, l’attrice Holly Hunter (che la McDormand conobbe a Yale) e il regista Sam Raimi. È proprio il noto regista dell’horror “La casa” a volerla come dolce metà dello spietato supereroe in “Darkman”(1990).
Nel frattempo, la McDormand ha proseguito la carriera su più fronti: in televisione assiste le vicende poliziesche della protagonista del telefilm “Una detective in gamba”(1987), mentre a teatro incarna Stella Kowalski in “Un tram che si chiama desiderio”(1988), ruolo per cui viene nominata al Tony Award. Lo stesso anno riceve la prima candidatura agli Oscar come attrice non protagonista nel film “Mississippi Burning – Le radici dell’odio”(1988) di Alan Parker, affiancando egregiamente Gene Hackman e Willem Dafoe.
Il capolavoro “Fargo” e la splendida Marge
È negli anni novanta che Frances McDormand regala al pubblico uno dei più indimenticabili personaggi del decennio. Dopo aver cercato la verità nell’opera “L’agenda nascosta”(1990) di Ken Loach, nel 1996 recita nuovamente per i fratelli Coen in “Fargo”, il loro più grande capolavoro; qui veste i panni di Marge Gunderson, perspicace capo della polizia locale al settimo mese di gravidanza, che risolverà l’intrigo-pasticcio di un piano spinto nella stupidità della violenza, oltre ogni limite. L’ottima recitazione, verrà premiata con l’Oscar alla migliore attrice protagonista.
I “manifesti” di Frances
Il nuovo millennio inizia con un’altra eccellente prova attoriale, questa volta sotto la direzione di Cameron Crowe nel film “Quasi famosi”, dove Frances sarà la madre protettiva del protagonista. Torna ad essere una consorte fedifraga per i Coen nell’eccellente noir “L’uomo che non c’era”(2001), mentre nel 2005 spalleggia Charlize Theron in “North Country – Storia di Josey”, dramma tratto da una storia vera. Nel 2011 è Paolo Sorrentino a volerla al fianco di Sean Penn in “This Must Be the Place”, mentre l’anno dopo sarà Wes Anderson a chiamarla per completare il cast stellare del film “Moonrise Kingdom – Una fuga d’amore”.
Nel 2018 torna a vincere l’Oscar come migliore attrice protagonista, interpretando una madre inconsolabile decisa ad ottenere giustizia in “Tre manifesti a Ebbing, Missouri”. Il regista Martin McDonagh firma una commedia nera incentrata su una tragedia e sull’integrità di una madre che non accetta l’uccisione della figlia come un caso irrisolto, scontrando cinicamente la propria volontà di ferro contro tutti, in un America senza un sano equilibrio. Avremmo dovuto rivedere Frances McDormand nelle sale questa estate, ma il coronavirus ha causato il rinvio al prossimo autunno del nuovo lavoro di Wes Anderson, “The French Dispatch”.
Il suo clan, le donne e la scelta
Una donna di rilievo, nei film e nella vita. Antistar assoluta, ha sempre ritirato premi elogiando le altre candidate, mai lodando se stessa. Come quando è salita sul palco degli Oscar senza trucco, con i capelli elettrizzati e lo sguardo serio, la statuetta tra le mani e la spontaneità delle sue parole, incentrate sulla parità dei diritti riservati alle donne. In quella occasione, dopo aver espresso gratitudine nei confronti del suo “clan”, ovvero il marito Joel e il figlio Pedro McDormand “Mick” Coen (che la coppia ha adottato nel 1994), ha invitato tutte le donne presenti in sala ad alzarsi in piedi concludendo il suo discorso con le parole “Inclusion Rider”(una clausola contrattuale con la quale gli attori obbligano le produzioni a non fare alcuna discriminazione di genere o di razza, prevedendo una percentuale minima di “diversità”). Di standing ovation così se ne sono viste poche.
Frances McDormand, teppista e anarchica della settima arte. Così come nel piccolo schermo e nei palcoscenici teatrali. Regina dell’interpretazione, senza vanità nonostante la “Triple Crown of Acting”, termine usato per indicare i pochissimi artisti (24) che hanno vinto i tre maggiori riconoscimenti per la recitazione Academy Award (cinema), Emmy Award (televisione) e Tony Award (teatro). Una “triplice corona” che proietta la McDormand nell’élite di talenti duttili, capaci di giganteggiare in ogni set, di fronte ad una telecamera ed oltre un sipario, sempre dipendente solo da se stessa. Perché, premi a parte, Frances è una donna che ha sempre messo la scelta davanti all’opportunità. Quella scelta di dar vita a personaggi ricchi, complessi, permanenti. Perché simili a lei? Forse. Liberi e anticonformisti come solo Frances McDormand sa essere.
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