la modello trans nera e plus-size Jari Jones è il nuovo volto della campagna Pride di Calvin Klein.

Di fronte a un enorme cartellone pubblicitario Calvin Klein che oscura il cielo di Manhattan, la modella transgender nera, l’attrice e attivista Jari Jones ha fatto scoppiare una bottiglia di champagne. Festeggia felice mentre la sua stessa immagine, stampata in una gigantesca pubblicità, guarda dall’alto le strade della città.

L’immagine di se stessa in visibilio per la notizia è ormai parte della campagna Pride del 2020 #PROUDINMYCALVINS di Calvin Klein. La campagna che presenta un cast di nove modelli LGBTQ tra cui la Jones, che si identifica come una lesbica transqueer. ha scritto su Instagram, in un posto del 23 giugno:

“È stato un tale onore e piacere sedermi nel mio io più autentico e presentare le immagini di un corpo che troppo spesso è stato demonizzato, molestato, fatto sentire brutto e indegno e persino ucciso”

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There are moments that I heard about, that help you forget when the world told you “Never” !!! . . There are these moments I heard about about that help you heal when the society has tried to beat you down , over and over again. . . There are these very real moments that I heard about that help you feel affirmed even when you don’t see yourself. . . I’ve been searching my whole life for those moments, I got tired of looking for those moments. . . So I decided to create them. Not for me but for the next dreamer, outcast, queer, trans, disabled, fat, beautiful black, piece of starlight waiting for their moment to shine. . . It has been such an honor and pleasure to sit in my most authentic self and present imagery of a body that far to often has been demonized, harassed , made to feel ugly and unworthy and even killed. . . I present this image ,myself and all that my body stands for to my community and chosen family, in hope that they see themselves more clearly than ever and further realize that they are worthy of celebration , of compassion , of love and gratitude. . . – Thank you to @ryanmcginleystudios and the @calvinklein family for a collaboration that will hopefully be a symbol of hope and love during these moments. BLACK TRANS LIVES MATTER!! . . . . #calvinklein #blacklivesmatter #blacktranslivesmatter #transisbeautiful #queer #celebratemysize #actress #honormycurves #pride? #bodydiversity #soho #effyourbeautystandards #curvygirl #curvemodel #influencer #billboard #plussize #plusmodel #influencer #plussizemodel #bodypositive #swimwear #campaign #newyork #melanin #model #ad #sponsored

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Profilo Instagram di Jari Jones

Jones ha pubblicato per la prima volta sulla vittoria il 19 giugno, scrivendo su Twitter:

“Oggi, su #JUNETEENTH2020, una donna trans nera e grassa si affaccia su New York”

La campagna arriva in un momento in cui le proteste di Black Lives Matter continuano in tutto il mondo, insieme a richieste di antirazzismo e meno discriminazione. Sembra quindi che l’imperativo d’inclusione si diffonda tra più vari settori, compresa la moda.

Jari Jones è un esempio di rappresentazione?

La campagna Pride di Calvin Klein include nove modelli LGBTQ, tra cui l’attore Tommy Dorfman (13 Reasons why), l’artista Gia Woods, l’attivista transessuale Chella Man, la drag queen e la cantante Pabllo Vittar e Jari Jones, solo per citarne alcuni.

Vedere modelle queer o che presentano modelli estetici più variegato e meno normativizzati è un progresso per la libertà di espressione dell’individuo. Una conquista che cade a fagiolo proprio durante il Pride Month: un regalo, una bella notizia.

Jari Jones è ovviamente entusiasta e il suo successo può essere di conforto per chi, come lei e Lea T, vorrebbero lavorare nella moda. Ma per anni si sono sentite esclud* da un mercato come quello, per via dell’espressione loro genere. Ma forse questa favola non è così riapplicabile alla vita reale. Forse Jari Jones non è un modello perseguibile e realizzabile in una società che ti fa vedere il successo di una minoranza ma poi non da alcuno strumento ai gruppi di minoranze per poter effettivamente perseguire i propri obiettivi.

Jari Jones è il razzismo sistemico:

C’è da ricordare che in questo periodo gli Stati Uniti d’America sono stati messi a ferro e fuoco dai manifestanti del movimento BLM. Black Live Matters è esploso in seguito alla morte di George Floyd, uomo afro-americano ucciso per abuso di potere di due agenti a Minneapolis. La situazione s’è diffusa in tutto il mondo con una serie di interventi (più o meno efficaci) per rapportarsi con il problema del razzismo interiorizzato nella società. Tra le polemiche per le censure a Film e Serie TV, l’iconoclastia contro i monumenti di schiavisti, proteste in tutto il mondo, l’opinione pubblica è molto concentrata sull’argomento.

Il dubbio è: queste rappresentazioni di riappropriazione culturale sono seguite da effettive politiche pubbliche? Perché le manifestazioni BLM (e anche quel che è poi politicamente il Pride) sono una richiesta di diritti politici, civili e sociali. Il rimodellamento dell’industria della cultura e dello spettacolo non sono negati, ma devono essere accompagnati ed effettive misure amministrative, di welfare e garanzia delle minoranze. Cosa che fatica ad accadere, e c’è da chiedersi se non sia proprio per via della grande attenzione che viene data invece a queste notizie.

Cosa succede a Minneapolis?

Sappiamo che nella città di Minneapolis è in corso una riforma per il corpo di Polizia Locale.

La conquista USA è un traguardo di natura politica e le sue conseguenze saranno subito evidenti nella vita dei cittadini. Venerdì, il consiglio comunale di Minneapolis ha approvato all’unanimità una proposta per eliminare il dipartimento di polizia della città, segnando il primo passo verso l’istituzione di un nuovo approccio “olistico” alla sicurezza pubblica.

fonte: twitter

Il dipartimento sarebbe supervisionato da un direttore, nominato dal sindaco e approvato dal Consiglio Comunale. Solo le persone con “esperienza di non legislativa nei servizi di sicurezza della comunità, inclusi ma non limitati a approcci di salute pubblica e/o di giustizia riparativa“, saranno ammesse a ricoprire la carica, in base all’emendamento.

Io vedo una forte differenza tra questo traguardo e il traguardo di Jari Jones.

Contro Jari Jones?

Assolutamente no. Anche le rivoluzioni culturali sono parte del cambiamento della società e l’inclusione delle minoranze nelle categorie di Moda&Spettacolo sono fondamentali per creare un immaginario adeguatamente rappresentativo della società. Però non è così scontato pensare che si possa parlare di vittoria politica o di rappresentazione in sè. Da femminista che si è politicamente interessata alle vicende di quest’anno ho sicuramente delle critiche da muovere alle fondamenta di questa vicenda.

JARI JONES – fonte: google


Viene subito da chiedersi se sia proprio così che funzioni la rappresentazione: parliamo di una posizione sociale che non eleva alcun valore che non sia quello della bellezza mercificata che il settore della moda (ricordiamo che stiamo parlando di Calvin Klein!) alimenta per aumentare i profitti. Fino a pochi anni fa erano aziende come queste a causare Disturbi del Comportamento Alimentare per le pubblicità aggressive, a proporre standard di bellezza tossici. Non hanno assolutamente smesso. Chi ha visto Boris la serie saprà cosa s’intende per “locura“, espressione utilizzata in una disperata riunione tra sceneggiatori che non sanno come riproporre lo stesso messaggio reazionario di sempre, ma facendolo apparire diverso. Qui secondo me sta la problematica del marketing “inclusivo” dei grandi colossi commerciali. Di brand come CK.

Non parlerei di rappresentazione anche per essere tale deve rappresentare un target. Nella media, una black\transgender\lesbian non è assolutamente il target della CK, e il motivo primario non è di espressione estetica. Semplicemente, nella gran parte dei casi non si può permettere i prodotti. Quindi la questione di fa più articolata.

Una critica politica: non guardare a ciò che “fanno”, ma a ciò che “non fanno”

Così coe per i moretti e le puntate censurate di Scrubs, si affronta un problema molto più profondo facendoci ingurgitare una sua versione superficiale e banalizzata. Un cambio della società deve avvenire anche tramite politiche pubbliche volte ad appianare le differenze di reddito tra classi o che influenzino effettivamente le strategie di governo. Il limite della lotta culturale da sola è questo: se non aiuta ad abbattere le ineguaglianze politiche è possibile che sia propaganda, pinkwashing, queerwahing etcetc.

In questo caso infatti la campagna di CK sembra essere proprio becera strategia di marketing, oltretutto indirizzata a tutt’altro pubblico: donne borghesi bianche cisgender eterosessuali.
Ovviamente è un’iperbole che serve a rimarcare il paradosso della rappresentazione vs target di consumatori dell’azienda. Ma non credo sia possibile negare che la campagna di predatoria verso quelle persone che hanno fascinazione per tematiche queer e antirazziste, influenzate anche dal Pride Month e dalle proteste di Minneapoli cui hanno partecipato molte star televisive.

Credete sia tutta una coincidenza fortuita? Il team di comunicazione di CK allora è riuscito nel suo intento.

Auguri a Jari Jones, ma le altre?

Quindi si potrebbe fare una provocazione: sareste felici se una donna trans di colore plus-size facesse da sponsor alla Coca Cola? o da Manager per McDonald? o fosse la nuova “vice” di Donald Trump? Io non saprei.

“A good girl is a brave girl”

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