Esponente di spicco della pittura metafisica, Giorgio de Chirico (Volos, 1888Roma, 1978) è autore di immagini che sembrano sospese in un tempo indefinito, svuotate dalla presenza umana ma popolate da ombre ambigue, statue e manichini inermi, pervase da una latente malinconia che ne accentua il senso di solitudine e di assordante silenzio.

De Chirico e la malinconia nell’estetica metafisica

Secondo il filosofo R. Dottori, la malinconia si configura, insieme all’enigma, come uno degli aspetti fondamentali per comprendere la pittura metafisica di De Chirico, e può essere intesa come lo stato fondamentale della coscienza di fronte al mistero della vita. Il tema della malinconia è ricorrente tanto in Schopenhauer quanto in Nietzsche, autori che, per stessa ammissione del pittore, per primi gli hanno insegnato il non-senso della vita. Nietzsche opera una distinzione fra tristezza e malinconia: la prima esclude il pensiero, mentre la seconda se ne alimenta e, così facendo, si impone come caratteristica dell’uomo meditativo.

Proprio nella posa del pensatore inquieto si ritrae De Chirico in questo dipinto eseguito nel 1911, primo di una lunga serie di autoritratti. La posa è quella classica della melanconia, con la mano sinistra a sorreggere il volto, richiamo voluto ad una litografia di Bauer raffigurante Nietzsche, segno di una profonda ammirazione che si traduce in identificazione. Lo sguardo del pittore si perde in un cielo di un verde tremolante, senza nuvole e senza vita, a rafforzare il senso di tristezza che pervade la rappresentazione.

G. De Chirico, Portrait de l'artiste pour lui-même (Et quid amabo nisi quod aenigma est?) - Photo Credits: web
G. De Chirico, Portrait de l’artiste pour lui-même (Et quid amabo nisi quod aenigma est?) – Photo Credits: web

Nel 1914 lo scrittore e pittore Ardengo Soffici scriveva:

Giorgio De Chirico esprime, come nessuno l’ha mai fatto, la malinconia patetica di una fine di bella giornata in qualche antica città italiana, dove in fondo a una piazza solitaria (…) si muove sbuffando un treno, staziona un camion di un gran magazzino o fuma una ciminiera altissima nel cielo senza nuvole.

La malinconia che scivola nell’angoscia

Esperienza della condizione umana, la malinconia rischia di tramutarsi in angoscia, quando il vuoto sembra inghiottirci e paralizzarci in un tempo immobile. Mistero e malinconia di una strada, opera del 1914, sembra dar voce ad una tensione muta, al concretizzarsi di un pericolo reale ma invisibile. La strada segna la divisione fra due zone contrapposte e complementari, l’una illuminata dalla luce del giorno, l’altra sprofondata nel buio.

Una bambina, con gonna e capelli mossi dal vento, rincorre un cerchio, ignara che, dietro l’angolo, l’attenda un’ombra minacciosa. I due loggiati che delimitano la scena non scandiscono uno spazio realistico, ma incombono nelle loro prospettive che si negano reciprocamente. Le distorsioni geometriche e spaziali, secondo lo storico d’arte Rudolf Arnheim, contribuiscono a dare:

G. De Chirico, Mistero e malinconia di una strada - Photo Credits: web
G. De Chirico, Mistero e malinconia di una strada – Photo Credits: web

la sensazione che la bambina spensierata col cerchio sia minacciata da un mondo che è sul punto di crollare lungo invisibili crepe e di scindersi in frammenti incoerenti.

Nel conflitto che si instaura fra gli elementi – fra la bambina e l’ombra, fra la luce e il buio, fra il movimento e la stasi – emerge il tema dell’assenza e dell’angoscia.

De Chirico, la scrittura di sogni

Attraverso una pittura che è stata definita “scrittura di sogni”, De Chirico esprime un senso di vastità, di paralisi e di solitudine. Nell’affrontare i misteri dell’infinito, il pittore sembra negare la possibilità di trovare un senso a questa vita, nei confronti della quale adotta un approccio del tutto personale.

Rappresentarsi tutto nel mondo come enigma, non soltanto le grandi questioni che ci si è sempre poste, (…) perché può darsi benissimo che, come ho già detto, in tutto ciò non ci sia alcuna ragione. Ma comprendere l’enigma di certe cose che sono considerate in generale come insignificanti. Sentire il mistero di certi fenomeni, dei sentimenti (…). Vivere nel mondo come in un immenso museo di stranezze.

Silvia Staccone

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