Il Dantedì di oggi si occupa del XVII Canto, collocato ancora nel VII cerchio dell’Inferno di Dante. Nel corso del suo lungo cammino il poeta, insieme a Virgilio, incontra gli usurai, dannati contro Dio nell’operosità umana, in quanto si sono arricchiti grazie al denaro e non al duro lavoro.
Dante nel VII cerchio: l’apparizione del demonio Gerione e i dannati contro Dio
E’ l’alba di sabato 9 aprile (o 26 marzo) 1300. I poeti Dante e Virgilio, nel corso del loro viaggio presso il terribile VII cerchio, incontrano Gerione. Il personaggio, che era già apparso nel XVI Canto, ora viene descritto dettagliatamente: esso è un mostro con la faccia d’uomo, il busto di serpente, due zampe artigliate e pelose che arrivano alle ascelle, il dorso e il petto dipinti con nodi e rotelle in modo simile ai drappi persiani, una coda biforcuta che ha al fondo un pungiglione avvelenato simile a quello di uno scorpione.
Il mostro, la cui immagine è indubbia allusione del peccato (la frode) del VIII cerchio, di cui è custode, deve ora accompagnare i due viaggiatori presso il fondo dell’alto burrone, dove sono collocate le Malebolge. Prima che ciò accada, però, Virgilio invita Dante ad allontanarsi da Gerione per poter incontrare i dannati del VII cerchio: in questo modo il poeta latino avrebbe potuto convincere il terribile demonio a condurli nelle profondità infuocate del cerchio infernale successivo.
I dannati del Canto XVII: Dante incontra gli usurai
Mentre Virgilio è impegnato a discutere con Gerione per la discesa lungo il burrone, Dante procede da solo lungo l’orlo del cerchio e, qui, intravede gli usurai, dannati a un’eterna sofferenza per aver peccato contro Dio. Essi sono costretti a stare seduti nel sabbione arroventato dalla pioggia di fiammelle e piangono per il dolore, usando le mani per cercare di ripararsi invano.
Dante osserva i dannati senza riconoscerne nessuno, tuttavia vede che ognuno di loro porta al collo una borsa con sopra lo stemma della loro famiglia, che ogni spirito non smette di guardare. Improvvisamente, tuttavia, il poeta riconosce uno di loro, la cui borsa ha una scrofa azzurra in campo bianco: si tratta di Reginaldo Scrovegni, il quale si accorge che Dante è ancora in vita e lo sprona ad andarsene.
La discesa in groppa a Gerione
Finalmente i due viaggiatori sono pronti ad iniziare la discesa lungo il burrone, verso il cerchio successivo. Salgono, dunque, in groppa al mostro, così terrificante che Dante è colto dalla paura e trema, tuttavia l’ammonimento di Virgilio lo spinge ad eseguire l’ordine e si siede sulle spalle di Gerione.
Lentamente, i tre scendono verso le Malebolge e Dante non se ne accorge se non per l’aria che lo colpisce al viso e alle gambe; sente da destra lo scroscio del Flegetonte, si sporge e vede che si avvicina un luogo dove ci sono fuochi e pianti, per cui capisce che la discesa è quasi terminata.
Canto XVII: un momento di passaggio che chiude la prima parte della Cantica
Idealmente, con il Canto XVII Dante conclude la prima sezione dell’Inferno. Fino a questo momento infatti, il poeta fiorentino si era occupato dei peccati di eccesso, di eresia e di violenza e adesso introduce la seconda parte dedicata principalmente ai peccati di frode, che occuperanno in tutto tredici Canti. Elemento centrale del Canto in esame è indubbiamente l’incontro con il demoniaco Gerione che, nonostante il pauroso aspetto, diviene docile strumento utilizzato da Virgilio per poter raggiungere il cerchio successivo e proseguire il viaggio.
“Ecco la fiera con la coda aguzza,
che passa i monti e rompe i muri e l’armi!
Ecco colei che tutto ‘l mondo appuzza!”…
Incastonato nell’episodio di Gerione c’è poi quello minore degli usurai, che Dante incontra da solo. Il tema dell’usura si ricollega al lamento sulla triste condizione politica e morale di Firenze che era al centro del colloquio coi tre sodomiti, in cui Dante aveva puntato il dito contro la sete di denaro e i guadagni facili della gente nova, i contadini che praticavano cambio e mercatura.
L’accusa all’avarizia degli usurai che sfruttano il denaro per arricchirsi diventa, infine, la necessaria premessa alla discesa nel cerchio dove è punita la frode, che spesso ha come fine proprio l’arricchimento personale.
Martina Pipitone