Il canto XX dell’Inferno si svolge nella quarta bolgia dell’ottavo cerchio, qui sono puniti gli indovini e i maghi. Dante, dopo una descrizione generale, indica tra i peccatori, attraverso le parole di Virgilio, cinque indovini antichi (quattro dei quali mitologici) e tre moderni. La colpa dei primi è quella di aver adulterato l’ordine divino tramite il loro operato, sconvolgendo e influenzando cose concepite in natura come inintelligibili. Essi infatti volevano guardare troppo avanti, cosa che non è concessa nemmeno agli angeli, ma solo a Dio. I maghi invece i “falsi” indovini, giustificarono con la menzogna le azioni dei potenti, proclamandole come prescritte dal volere divino. Un discorso a parte riguarda l’astrologia che Dante considera invece una vera e propria scienza. Egli stesso, infatti, fa spesso riferimento alle costellazioni e al suo segno zodiacale.
Il canto
Siamo nelle Malebolge, e Dante, dal punto più alto del ponte che sovrasta la quarta bolgia, può vedere i nuovi dannati. Nettamente in contrasto con la velocità con cui procedevano ruffiani e seduttori sferzati dai demoni, qui i dannati procedono molto lentamente, come in processione. Tale lentezza, Dante si accorgerà presto, è imposta a maghi e indovini proprio dalla loro pena. Essi infatti hanno il collo travolto all’indietro, la loro faccia silenziosa e piangente sovrasta la schiena costringendoli a camminare a ritroso. Dante è talmente sconvolto da quella visione che si lascia andare a un pianto dirotto che costringerà Virgilio a riprenderlo severamente. Ma Dante non piange la pena dei dannati, ma la trasfigurazione del corpo che egli considera sacro e a immagine e somiglianza di Dio.
Virgilio addita gli indovini
Virgilio invita perentoriamente Dante a guardare gli indovini, tra i quali c’è Anfiarao, uno dei sette re che assediarono Tebe e che fu inghiottito dalla terra apertasi sotto di lui, cadendo sino a Minosse; anche lui come gli altri ha spalle al posto del petto e per aver voluto vedere troppo in avanti, adesso può guardare solo indietro. Virgilio mostra poi Tiresia,profeta che operava nelle file dei Tebani.Qui Dante, rifacendosi ad Ovidio, racconta come Tiresia per aver percorso con la sua verga due serpenti in amore, si trasformò in una donna e tale rimase per sette anni, finchè cioè, con la medesima verga non percosse i medesimi serprenti.
Segue Arunte, che visse in una spelonca presso la città di Luni, sulle alpi Apuane, da dove vedeva ampiamente le stelle e il mare. Virgilio indica ancora una dannata che si copre il seno e il pube con le lunghe trecce: è Manto, figlia di Tiresia, che vagò attraverso molte terre e infine si stabilì a Mantova, città del poeta latino. Qui nella parte centrale del canto infatti, Virgilio invita Dante ad ascoltarlo in quello che sarà un lungo monologo sulle origini della sua città.
Chiusura
Mentre proseguono verso l’uscita Dante chiede a Virgilio se si vi siano altri indovini degni di nota. Dopo avergli segnalato Euripilo che indicò ai Greci il momento propizio per far partire la flotta durante la guerra di Troia, Michele Scotto e altri fattucchieri, Virgilio esorta Dante a riprendere il cammino. La luna che la notte precedente aveva illuminato il cammino di un Dante perso nella selva oscura, adesso tocca l’orizzonte mentre il sole sta per tramontare.
Cristina Di Maggio
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