Per il nostro consueto appuntamento del mercoledì, oggi affrontiamo il Canto XXVII dell’Inferno dantesco. I nostri viaggiatori, Dante e Virgilio si trovano nell’VIII Bolgia, dove sono puniti i fraudolenti.
I dannati del Canto XXVII, i consiglieri fraudolenti
Centrale nel dispiegarsi del Canto infernale è la pena inflitta ai consiglieri fraudolenti, che coinvolgono soprattutto uomini politici o militari. La loro anima, punita nell’VIII Bolgia, è avvolta e arsa da una fiamma che la nasconde completamente. Infatti, come in vita i peccatori attuarono di nascosto i loro inganni, così sono ora nascosti da una fiamma.
Guido da Montefeltro, il dannato celebre dell’VIII Bolgia
E’ il 9 aprile 1300, a mezzogiorno. Dopo l’allontanamento della fiamma di Ulisse e Diomede, si avvicina a Dante un’altra fiamma dalla quale esce a fatica una sorta di muggito che stenta a tradursi in parole. Il poeta, inizialmente titubante, decide di risponde al dannato che, però, non riconosce. Questi, infatti, comincia a raccontare della sua vita senza tuttavia dire mai il proprio nome e proprio grazie agli elementi che il personaggio offre, oggi sappiamo si tratti di Guido da Montefeltro. Ancora in vita, inizialmente fu uomo di guerra; Guido divenne poi frate francescano per espiare le proprie colpe, tutte mosse da una mente calcolatrice, di estrema furbizia.
Il racconto di Guido: l’espiazione dei peccati non riuscita per colpa di papa Bonifacio VIII?
Perché Guido da Montefeltro non riuscì a farsi perdonare ogni eccesso di furbizia quando era ancora in vita? Lo stesso peccatore afferma sia stata colpa di papa Bonifacio VIII che lo indusse nuovamente a peccare. Bonifacio, che allora si trovava in guerra contro i Colonna, gli aveva chiesto un consiglio su come ottenere la rocca di Palestrina e Guido aveva esitato a darglielo, ma era stato rassicurato perché il papa promise che lo avrebbe assolto in anticipo. Guido, dunque, consigliò di usare l’inganno: promettere e non mantenere.
Il messaggio di Dante nell’VIII Bolgia, la falsità della promessa
Tra il racconto legato ad Ulisse del Canto precedente e questo, connesso alla vita di Guido da Montefeltro, c’è il divario tra la colpa dell’agire e la colpa del conoscere: la prima non toglie dignità a colui che vi incorre. La condanna inflitta ad Ulisse non è stata macchiata dall’inganno, mentre la colpa che ha portato Guido alla dannazione configura la frode, in una delle sue forme più comuni: la falsità della promessa. In entrambi i casi, dunque, c’è un aspetto dei personaggi che resta positivo perché le loro azioni sono il risultato dell’ingegno umano, per cui esistono ampi margini di errore. In Guido, dopotutto, Dante riconosce il modello di politico puro, per il quale il successo politico è posto al di sopra della virtù e del bene.
Dante, quindi, si mostra a Guido freddamente rispettoso, augurandogli fama perché ne ammira le qualità intellettuali. Si tratta di un atteggiamento-condanna esteso a tutta la politica della sua epoca, sia laica sia ecclesiastica.
Martina Pipitone