Lidia Menapace, una delle ultime partigiane è morta oggi verso le tre del mattino. Pacifista, staffetta partigiana (Bruna era il suo nome di battaglia) e testimone della Resistenza. Da alcuni giorni era ricoverata per Covid nel reparto di malattie infettive dell’ospedale di Bolzano.
scopriamo di più sulla vita…
Prima donna eletta nel 1964 come assessora ai servizi sociali nella provincia di Bolzano, si trasferisce a Milano dove assume un incarico presso l’università cattolica. Per motivi politici, non le viene rinnovato.
Il movimento del ’68 la vede tra le protagoniste e partecipa alle diverse iniziative della contestazione cattolica, nonché ai moti studenteschi e operai.
Sintetizzare la sua vita è difficilissimo, molteplici sono le battaglie che la vedono protagonista nei suoi 96 anni di vita.
Soprattutto ricordiamo l’impegno nell’universo femminista, di cui costituisce un fondamentale riferimento; l’impegno nell’associazione nazionale partigiani, al cui comitato nazionale partecipa fin dal 2011.
Della sua storia partigiana ha parlato fino al 25 aprile scorso, nell’ultima intervista a Gad Lerner trasmessa su Rai3: “Contesto l’idea che le donne potessero essere solo staffette perché la lotta di liberazione è una lotta complessa. Di noi dicevano che “eravamo le donne, le ragazze, le puttane dei partigiani ma senza le donne che ricoveravano l’esercito italiano in fuga non avrebbe potuto esserci la resistenza“.
“Sono rimasta partigiana tutta la vita, perché farla è una scelta di vita“
Portavoce di valori come antifascismo, libertà, democrazia, pace, uguaglianza, Lidia Menapace riunisce in sè la figura di intellettuale dissidente e quella di dirigente politico. Come quasi nessuno potrebbe fare oggi.
Ha parlato di “lotta” e categoricamente mai “guerra”, parola che rifuggiva in tutte le sue implicazioni. Viene chiamata l’anticipartice per quel suo modo di immaginare il mondo futuro prima che accadesse.
“Chiamatemi ex politica, ex parlamentare, ex insegnante, ma non chiamatemi mai ex partigiana. Perché io partigiana lo sarò per sempre”. Così, con le sue parole, pronunciate più volte quanto era in vita, l’Anpi ha voluto dare l’ultimo saluto a Lidia Menapace, oggi 11 dicembre al cimeitero di Bolzano. La cerimonia funebre si è conclusa con il canto di “Bella ciao“, l’inno della Resistenza.
“La Resistenza non fu un fenomeno militare, come erroneamente si crede. Fu un movimento politico, democratico e civile straordinario. Una presa di coscienza politica che riguardò anche le donne”.
Nel volume Io, partigiana. La mia Resistenza (Manni, 2014), tra l’altro, scrive: “Quanto sono stata fortunata a nascere quando e dove nacqui, sì da poter partecipare nel corso di una sola vita alla Resistenza, al Sessantotto, alla crisi del capitalismo…”.
Nel 2016 Novella Benedetti, Chiara Orempuller, Valentina Lovato hanno girato il documentario intervista “Non si può vivere senza una giacchetta lilla”in cui attraverso un racconto in prima persona e l’osservazione discreta del suo instancabile impegno quotidiano nell’educazione e promozione dei diritti civili, emerge un ritratto intimo di una donna coraggiosa ed eccezionale che ha contribuito a scrivere pagine importanti della storia repubblicana del nostro paese.
“Se mi chiedete di raccontare la mia vita lunga oltre 90 anni, ci metterei un sacco di tempo e sarebbe un disastro per voi ascoltarmi…”
E invece Lidia Menapace, adesso che è morta lascia un vuoto che nessun racconto potrà colmare.
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