A RIVEDER LE STELLE, del giornalista Aldo Cazzullo, edito da Mondadori, mantiene saldamente la sua posizione nella classifica dei dieci libri più venduti in Italia. A settecento anni dalla morte, il giornalista dedica il suo nuovo libro a Dante e all’Inferno, la prima cantica della Divina Commedia, il libro più bello scritto dagli uomini. Con uno stile e un linguaggio fruibile a tutti, Cazzullo ci porta in viaggio con sé e e il sommo poeta attraverso quella storia d’Italia che ha fatto gli Italiani.
Pur mantenendo il registro giornalistico, da reportage che racconta solo i fatti senza mai esprimere apertamente giudizi o opinioni, A RIVEDER LE STELLE è un libro politico, come del resto politico fu Dante. Cazzullo ne fa, a ragione, il fondatore dell’Italia e della sua lingua; quell’Italia che per Dante è sogno, ma anche paradigma di cultura e bellezza, entità viva e mai astratta, fatta di carne e sangue e terra. Quello che il proprio paese dovrebbe essere per ognuno.
Dante primo sovranista
Aldo Cazzullo, fa così di Dante il primo sovranista, colui che, per primo appunto, descrive la sacralità delle cose che unificano gli italiani: la cultura, la grande eredità classica, la fede cristiana e l’arte, che è quel particolare modo di pensare il mondo e di raffigurarlo. L’Italia, scrive il giornalista, è nata dagli artisti che da Dante furono ispirati nel ritrarre il bene e il male, il paradiso e l’inferno, la grandezza dell’uomo e l’abisso della sua perversione.
È quel paese che ha questo di straordinario rispetto alle altre nazioni, non è nata dalla politica o dalla guerra, non da un matrimonio dinastico, non da un trattato diplomatico: è nata dalla cultura e dalla bellezza. Dai libri e dagli affreschi. È nata da Dante e dai grandi scrittori venuti dopo di lui. E questo perché Dante non è solo il padre della lingua italiana, una lingua che si è mantenuta fresca e viva grazie a lui e ai suoi seguaci, ma è anche il padre dell’Italia; e la parola patria, infatti, è il plurale di padre.
La nostra storia
Cazzullo ha il pregio di farci immergere con naturalezza nella nostra storia, in cui, con le parole del sommo poeta, ci spiega come gli avvenimenti più importanti, furono l’avvento dell’Impero romano e quello della fede cattolica, destinata ad abbracciare poi tutto l’universo. La civiltà cristiana rappresenta la prosecuzione e l’arricchimento della civiltà latina a cui noi apparteniamo, anche se sembriamo averlo dimenticato. La fede cristiana è la cultura umanista, ossia quel sistema di valori e bellezza su cui si fonda la nostra identità nazionale.
Dante, infatti, oltre che uomo politico che ebbe il coraggio dell’invettiva civile, della difesa della libertà e dell’onestà a costo dell’esilio, oltre che reazionario, anticlericale, fu, è, ci viene da scrivere, il primo vero grande esploratore dell’animo umano. I suoi versi sul malcostume e la volgarità sono vivi, potrebbero essere stati scritti ieri. Il suo viaggio nell’oltretomba non è solo un viaggio in un Italia di ieri uguale a quella di oggi, ma è un viaggio nella profondità di se stesso e di tutti noi. Attraverso quelle che furono le colpe dei morti che egli via via incontra, descrive le nostre; la società di allora come quella di oggi, la sua idea di giustizia. “Perché i morti non sono solo morti, sono come erano da vivi”, e l’unico modo per parlare con loro è l’amore. Sempre, anche all’inferno.
Dante e la giustizia
Riscopriamo qui un Dante giustizialista e mai garantista, conservatore quanto “repubblicano” diremmo oggi, nel senso americano del termine. Seppur uomo di fede anticlericale, fonde la sua idea di giustizia sociale con quella religiosa, secondo cui, più importante è il ruolo che ricopri, più peso ha il tuo peccato, e più grande sarà la tua pena da scontare. Appoggiando, di fatto, la legge del contrappasso e del taglione, lo vedremmo oggi favorevole a quella che in America è la massima pena, quella di morte. E non ci è difficile immaginare cosa scriverebbe della lassità della giustizia italiana.
E così che esprimendo ora ribrezzo, ora commiserazione, ora ammirazione, Dante ci fa conoscere personaggi importanti per il suo tempo ma a noi sconosciuti. Personaggi come l’orgoglioso e dignitoso Farinata degli Uberti, Bocca degli Abati il traditore di Montaperti , la cui battaglia è ancora oggi impressa sulle magliette dei senesi durante il palio, per esempio. Ma anche Vanni Fulci e personaggi famosi come Ulisse, con il quale il poeta si indentifica; i papi del suo tempo verso la cui sete di potere e denaro mostra indignazione. Dante denuncia in particolare l’egoismo che porta a tradire la patria, i parenti, gli amici, la legge morale, pur di perseguire l’interesse privato, pur di conquistare ricchezza e potere per sé. E’ un’accusa che fino a pochi anni fa la nostra civiltà rivolgeva alle famiglie mafiose, e che oggi invece riguarda la lotta politica.
Dante e la globalizzazione
Dante oltre a essere il primo sovranista è anche il primo antiglobalista. E’ colui che parla di merito. Chi ricopriva incarichi politici doveva appartenere a delle corporazioni, avere cioè cultura e mestiere; non poteva venire dalla strada, dal far nulla, o da lavoretti di fortuna. L’economia doveva fondarsi sul lavoro soprattutto artigiano e artistico. In un paese di piccole patrie come era allora l’Italia e com’è ancora adesso, il legame col territorio doveva essere visto come una ricchezza, perché la forza e il gusto di essere italiani sta anche nell’essere diversi gli uni dagli altri. E questo implica capacità e specializzazioni diverse. È la lotta a cui assistiamo oggi e alla quale, chi da una parte chi dall’altra, come guelfi e ghibellini, tutti partecipiamo. Chi con Dante, come Cazzullo, chi contro, senza magari nemmeno rendersene conto.
“Tutta l’economia moderna si basa sul debito, ma il problema è molto più vasto poiché riguarda il dominio della finanza sull’arte, sul talento, sulla fatica degli uomini. La finanza produce gran parte della ricchezza, una ricchezza che però è solo teorica, immateriale, aleatoria, ormai slegata totalmente dall’esperienza, dalla tecnica, dalla cultura, e in balia della sorte. La cultura non è mai stata come adesso così negletta”. Non si investe più sulla scuola, sull’Università e la ricerca, le uniche leve che potrebbero riportarci alla grandezza di cui Dante era orgoglioso; a quel genio eterno che era il centro della sua poesia e la nostra caratteristica più importante.
Il lavoro è dignità
Oggi più che mai, nel pieno di un’emergenza che ci ha messi in ginocchio, proprio grazie ad un’economia adagiata su una montagna di carta, solo puntando sul lavoro e non sull’assistenzialismo, dovremmo cominciare una ripartenza, simile a quella con cui i nostri nonni ricostruirono l’Italia dopo la seconda guerra mondiale. Perché solo il lavoro, ieri come oggi, è dignità e fa l’uomo.Scriveva Dante e scrive Cazzullo.
Dante primo femminista
Una menzione a parte merita la citazione del canto più bello della “Divina” commedia, definita così per la prima volta da Boccaccio: il quinto, dove è narrata la storia di Paolo e Francesca. È il primo “delitto d’onore“, ma anche il primo “femminicidio” della storia, così come Dante ne è il primo femminista. La vicenda dei due amanti, infatti, non è solo un fatto di cronaca efferato, ma una storia universale anche questa, che riguarda tutti noi, e per tutto quell’amore espresso che chiunque di noi ha provato, e perché qui Dante inizia quella lotta in difesa delle donne che è ancora aperta.
Dante condanna l’idea che il suo tempo aveva della donna; parla di lei come del capolavoro di Dio, la meraviglia del creato grazie alla quale la specie umana supera qualsiasi cosa contenuta nel cerchio della luna, vale a dire sulla terra. Condanna lo sfruttamento della donna, punisce chi la inganna e seduce per trarne vantaggio; gli sfruttatori e tutti coloro che usano la bellezza femminile per il tornaconto proprio e altrui. Tutto esattamente come oggi.
È davvero impressionante come settecento anni dopo la sua morte, Dante ci parli di un mondo che era il suo, ma che è rimasto anche il nostro. Forse, con gattopardiana memoria, ci viene da pensare, che il mondo cambia per restare sempre lo stesso, perché a rimanere uguale in fondo è solo l’uomo, seppur oggi sembrino amplificate solo le caratteristiche peggiori. L’uomo può essere un angelo, scriveva Dante, ma può anche rivelarsi un demone, e l’inferno può essere sulla terra.
Nel mezzo del cammin di nostra vita
Ancora oggi, e forse oggi più di ieri, Dante si rivolge alla nostre coscienze individuali e alla nostra comunità nazionale di cui si ritiene il fondatore. Ci ricorda che la storia italiana è stata fatta non dalle vittorie militari o dai leader politici capaci di disegni strategici, ma dalla genialità della nostra gente. Una genialità che si è espressa nella letteratura e nell’arte, e in una umanità che si è tradotta in capacità di sacrificio e resistenza, e per questo sempre in grado di ripartire dopo le guerre e i lunghi periodi di povertà. “Fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza”. Cazzullo, nel mezzo del cammin di questa nostra vita, con A RIVEDER LE STELLE, attraverso Dante e la Divina Commedia, ci ricorda chi siamo stati, chi siamo, e soprattutto chi abbiamo il dovere di continuare ad essere.
Cristina Di Maggio
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