È stato censurato il magistrato che, nel 2012, ha rigettato l’istanza di una donna agli arresti domiciliari. Questa aveva richiesto di potersi allontanare dalla sua abitazione, per sottoporsi ad un intervento di interruzione volontaria di gravidanza.
Una detenuta ai domiciliari richiedente un pieno diritto riconosciuto dalla legge e un magistrato non rispettoso della toga per i suoi principi religiosi. È successo in Italia, dove il pubblico ministero ha impedito ad una donna di allontanarsi temporaneamente dal suo domicilio, per interrompere la gravidanza. Il PM è stato quindi sottoposto a procedimento disciplinare, colpevole di aver interpretato e non rispettato obiettivamente, l’articolo 284 comma 3 del Codice Penale:
il giudice può autorizzare l’imputato sottoposto agli arresti domiciliari ad assentarsi per provvedere alle sue “indispensabili esigenze di vita”, quando questi non possa provvedere altrimenti, ovvero per esercitare un’attività lavorativa, quando versi in una “situazione di assoluta indigenza”.
Un comportamento disdicevole, secondo l’accusa, di un uomo di legge non imparziale che ha negato ad una donna un suo diritto. Questo, aveva anche chiesto di rimettere il fascicolo ad un’altra sezione, per obiezione di coscienza, quando la detenuta ha riproposto la domanda.
Con la sentenza 3780 tuttavia, la Cassazione ha confermato la decisione del Consiglio superiore della magistratura, il quale aveva immediatamente censurato la condotta del magistrato, reo di aver screditato l’istituzione giudiziaria e arrecato seri problemi alla detenuta. La donna infatti, si era vista costretta a rivolgersi ad un avvocato per far valere il suo diritto, accollandosi le ingenti spese.
Magistrato censurato: l’aborto rientra nelle “indispensabili esigenze di vita”
Secondo il magistrato, non sussistevano i presupporti per accogliere la richiesta della parte lesa in quanto, l’interruzione di gravidanza, non rientrava tra le indispensabili esigenze di vita che, secondo la legge, consentono di lasciare temporaneamente il proprio domicilio o il carcere. La Corte Suprema ha quindi specificato che, la nozione di “indispensabili esigenze di vita”, comprende anche la tutela dei diritti fondamentali della persona. Pertanto, non è esclusa la libertà di scelta della donna di interrompere volontariamente la gravidanza, quando esistenti i presupposti dettati dalla legge 194/1978 a tutela della salute fisica e psichica.
Per l’interruzione volontaria della gravidanza entro i primi novanta giorni, la donna che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito, si rivolge ad un consultorio pubblico istituito ai sensi dell’articolo 2, lettera a), della legge 29 luglio 1975 numero 405, o a una struttura socio-sanitaria a ciò abilitata dalla regione, o a un medico di sua fiducia.
Mettere al mondo un figlio è responsabilità morale, etica, umana, sociale ed economica di chi lo porta in grembo. È piena scelta della donna quindi, decidere di proseguire la gravidanza, come di interromperla. Nessuno, al di fuori della madre, può sostituirsi ad una decisione tanto personale e delicata, ma soprattutto riconosciuta dalla legge.
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