Don Giuseppe Diana, per tutti Peppe o Peppino, era nato a Casal di Principe il 4 luglio 1958, da mamma Jolanda e papà Gennaro, entrambi coltivatori diretti. Famiglia semplice e dignitosa. Nel 1968 entra in seminario ad Aversa. Successivamente continua gli studi teologici nel seminario di Posillipo, sede della Pontificia facoltà teologica dell’Italia Meridionale. Qui si laurea in teologia biblica e poi si laurea in Filosofia presso l’Università Federico II di Napoli. Nel 1978 entra nell’Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani (AGESCI) dove fa il caporeparto.

Nel marzo 1982 è ordinato sacerdote. Diventa assistente ecclesiastico del Gruppo Scout di Aversa e successivamente anche assistente del settore Foulards Bianchi. Dal 19 settembre 1989 è parroco della parrocchia di San Nicola di Bari in Casal di Principe, suo paese nativo, per diventare poi anche segretario del vescovo della diocesi di Aversa, monsignor Giovanni Gazza. Nel 1983, dopo un gravissimo omicidio di camorra con tre ragazzi uccisi e poi bruciati, è tra gli organizzatori di una manifestazione a Casal di Principe nella quale viene distribuito un volantino dal titolo “Basta con la paura”.

Nel 1988, all’indomani dell’assalto alla caserma dei carabinieri a San Cipriano d’Aversa, partecipa alla costituzione di un coordinamento anticamorra dell’agro aversano che produce un documento dal titolo “Liberiamo il futuro“, sottoscritto da parroci, partiti politici e associazioni. Dopo la morte dell’ennesimo innocente, un giovane testimone di Geova ucciso per sbaglio, don Peppe fa della lotta alla camorra un impegno costante e continuo.

Il sacerdote venne assassinato dalla camorra perché pretendeva di servire la Verità e di non lasciare i giovani in mano alla criminalità.

Sono le 7,25 del 19 marzo 1994. “Chi è don Peppe?”. “Sono io”. Cinque colpi di pistola. Risuonano nella sacrestia della chiesa di San Nicola a Casal di Principe.

Così muore don Peppe Diana. Appena 36 anni. Parroco, capo scout Agesci, impegnatissimo coi giovani, vicino concretamente alle persone più fragili, ai disabili, agli immigrati. Sacerdote fin nel più profondo, parlava chiaro, diretto. Non aveva paura di esporsi e di pronunciare il nome “camorra” e di accusare.

E i killer della camorra lo uccisero il giorno del suo onomastico, mentre coi paramenti sacri stava uscendo dalla sacrestia per celebrare la messa. Gli amici lo aspettavano per festeggiarlo, ma non li raggiunse mai.

L’assassinio di don Pino Puglisi l’anno precedente, che mobilitò migliaia di persone in un corteo che percorreva le strade della città dai cui balconi pendevano lenzuola bianchi in segno di lutto e di protesta. Ventimila erano le persone che scelsero di scendere in piazza e insieme a questi gli scout. Dopo pochi giorni tra le gente circolavano le voci circa il movente dell’omicidio: don Diana fu ucciso per una questione di donne. Ma i carabinieri stroncarono sul nascere questa ipotesi che alla fine si rivelò di natura denigratoria. Il movente dell’omicidio del prete di Casal di Principe venne alla luce nel processo di secondo grado e confermato poi in Cassazione il 4 marzo 2004. I giudici ermellini condannarono all’ergastolo come esecutori dell’omicidio, Mario Santoro e Francesco Piacenti e come mandante il boss Nunzio De Falco detto “o lupo”, che all’epoca dei fatti era in Spagna, vista la sanguinosa faida che versava tra la sua fazione e quella degli Schiavone. I giudici ribaltarono la sentenza di primo grado ed esclusero l’ipotesi della custodia da parte del prete delle armi dei clan, fatto che aveva scatenato la macchina del fango (con titoli di articoli sul Corriere di Caserta: “Don Diana era un camorrista” e “Don Diana a letto con due donne“). Dalla sentenza di Cassazione emerse senza ombra di dubbio che don Diana fu ucciso per il suo coraggioso impegno di contrasto alla camorra. Ed è per questo motivo che quest’oggi si ricorda Don Peppe per non aver taciuto la verità davanti al potere camorrista e per aver testimoniato fino alla morte l’amore di Cristo, realizzando la solidarietà in una terra ostile. Anche quest’anno il parroco sarà ricordato nella sua città, sarà ricordata la sua lotta per il riscatto della sua terra, il suo essere semplicemente un uomo che con la parola ha sfidato una delle organizzazioni mafiose più potenti al mondo. Sarà ricordato il suo impegno che ancora oggi “cammina sulle nostre gambe”.