Prima di parlare con Letizia Battaglia, qualche giorno fa, mi sono ricordata di quando da bambina mi divertivo a essere fotografata. E forse, senza saperlo, come le sue bambine avere negli occhi il terrore e lo stupore della vita: ora capisco come in uno scatto fosse stato immortalato il disincanto, la camera oscura di un presagio che non avremmo mai potuto cambiare.
Letizia Battaglia si è presentata con i capelli rosa, come me l’ero immaginata, e una sigaretta accesa che è durata tutta l’ora dell’intervista. Erano dettagli, di espressioni e vizi, che quasi facevano da metronomo a un racconto che ci “ha emozionato, ci ha terrorizzato, ci ha rivelato”. Accompagnata da Sabina Pisu, con cui ha scritto il libro “Mi prendo il mondo ovunque sia. Una vita da fotografa tra passione civile e bellezza” edito da Einaudi lo scorso anno, Letizia si è confidata a voce alta, ma con la tenerezza e lo struggimento di chi ritorna dalla battaglia. La più grande fotoreporter della storia, Letizia è stata la prima donna a diventare fotografa in un giornale. Ma anche una politica sempre avvincente, e sempre un’artista in ogni suo approccio. E con Sabrina Pisu, autrice giornalista e inviata, con cui ha analizzato anche gli scenari socio-politici che hanno incorniciato la sua vita, ci ha permesso in questo libro di contestualizzare una storia che ci appartiene. “Mi prendo il mondo ovunque sia” non rappresenta solo l’occasione di conoscere meglio Letizia Battaglia come fotografa, reporter, politica e soprattutto donna, ma anche un ponte per osservare la storia, quella della seconda metà del Novecento. Questo libro ci arriva come una testimonianza anche storica, e potrebbe farci parlare di mafia. Noi invece vogliamo parlare di bellezza. Quindi di coraggio, libertà. La bellezza è l’unico rimedio alla paura, e ora più che mai ne abbiamo bisogno. E ancora, questo libro allora ci appare come un inno alla vita, alla ricerca dell’identità. E se da una parte vuole salvaguardare la memoria, dall’altra – come si dice nell’introduzione – è quasi un monito che va oltre anche la Storia, e approda invece quasi nel futuro: quello di non arrendersi, di perseguire quel guizzo di libertà, come ha fatto Letizia nella sua vita.
L’intervista a Letizia Battaglia
Letizia, da piccola, credeva che il matrimonio prima, il lavoro dopo e la fotografia in fine potessero darle la libertà che cercava. E in quella libertà si condensava la sua autenticità. Come lo è ancora, così autentica. E per esserlo ancora così tanto mi chiedo oggi, nel 2021, qual è la libertà di Letizia Battaglia? È complicato che io riesca a capirlo. Mi prendo delle piccole libertà, come quella di avere i capelli rosa a 86 anni, al posto dei capelli neri come le signore della mia età. E le mie nipotine ci vanno matte per i miei capelli rosa. Mi piace non arrendermi. Parto dalla libertà di essere una nonna diversa. La libertà di credere che ci sia un futuro. È avere sempre una macchina fotografica, come davanti ai mafiosi: io comunque scatto. Anche se ho paura. È continuare a vivere nel futuro più che nel passato. Come libertà è anche dirigere il Centro Internazionale della Fotografia, gratis, per Palermo e per le donne. La libertà è continuare, con dignità e rispetto, con eleganza. La libertà è esserci. Non ho paura neanche di morire, perché intanto vivo. Non posso perdere la mia vita per la paura.
Come è stato detto spesso, si pensa che le fotografie di donne nude di Letizia siano un atto politico: per scampare all’imbroglio della società patriarcale che in qualche modo ci costringe allo sguardo maschile. È un concetto che si può definire femminista, ed è la fotografia, e l’arte, in questo senso uno strumento di provocazione? È uno dei mezzi. La fotografia, come elemento culturale e di memoria, ha un ruolo. Prima nessuna donna perbene si sarebbe fatta fotografare nuda. Io oggi voglio dire: ogni donna è bella comunque, a qualsiasi età e in qualsiasi forma. Voglio andare contro i canoni della bellezza. E contro lo sguardo maschile. La mia è una solidarietà: è un modo anche per fare politica, come lo può essere ad esempio il mio progetto “Palermo nuda”. Mi piace lavorare con le donne, come ho fatto anche con la rivista Mezzocielo. Mi piace anche smantellare i canoni, è bello diventare anche più belle: quindi corrette, più sapienti in rapporto a quello che si fa.
In più di un’occasione ha raccontato di aver incontrato da bambina un orco. E poi nella vita ha incominciato a fotografare le bambine. E avevano gli occhi tristi. Si percepiva in loro quasi un dolore inconscio, adulto. Attraverso la fotografia voleva immortalare e riconoscere in loro la sua stessa delusione? È stato per lei un modo per esorcizzare questo trauma? Mi sembra anche qui, un modo di scongiurare l’orrore con la bellezza. Ho incominciato a fotografare bambine ma non sapevo perché. Le vedevo, mi emozionavano e le fotografavo. Solo dopo, negli anni, ho capito che cercavo la bambina che ero stata. Una bambina che sognava cose meravigliose, che aveva a che fare con cose gentili. Quel sogno è stato infranto. E mi ha segnato per tutta la vita. È strano, un signore che non ho mai più rivisto ha segnato la mia storia. Per sempre. Queste bambine avevano lo sguardo sognante, triste ma forte. È stata una cosa inconscia: io fotografo le bambine con l’inconscio. Ora lo so, l’ho capito dopo tanti anni cosa cercavo in quegli occhi. Eppure, per molto tempo sono stata in balia delle bambine. Le bambine, il sogno infranto, il mio.
Sabrina Pisu, il racconto di un patrimonio da salvaguardare
Quasi attraversando i ricordi di Letizia, è soprattutto Sabrina Pisu a indicarci il senso di un lavoro che va ben oltre l’esperienza giornalistica. Come un percorso che entra nelle viscere e non abbandona, l’incontro e il rapporto tra Sabrina e Letizia ci trasmettono un valore nobile. “In tutto quello che dice Letizia c’è una perla” – con dolcezza ma consapevolezza, ci racconta Sabrina Pisu– “che è un concentrato non soltanto di esperienza ma di sensibilità. Io ho cercato di raccogliere tutto quello che diceva, che per me rappresentava un patrimonio da salvaguardare. È la memoria della nostra storia, per conoscere il presente e il futuro non possiamo prescindere da quello che c’è stato prima. È stato un impegno anche doloroso, perché quando si racconta qualcosa lo si rivive”. E allo stesso tempo, quello che è stato il loro lavoro diventa per tutti noi lo stimolo per un progetto di bellezza, ma anche di denuncia, che ci interroga sulle responsabilità. Ricordandoci quello che Letizia ci ha detto prima di chiudere l’intervista, un’esortazione di Donna per le donne: oggi è un dovere delle donne esserci, un dovere e non più solo un diritto. Non farci sorpassare. Non farci mettere in un angolo. Sceglierci. Anche tra di noi. Con il tentativo, per tutta la vita, di esorcizzare l’orco. Perché anche se resta la ferita, deve rimanere la fiducia. E poi, da qui, pretendere la felicità.