La direttrice scientifica dell’Istituto di Ricerca della Speranza di Padova e immunologa Antonella Viola spiega, in questa epidemia di Covid, perché bisogna approfondire le differenze di genere anche in medicina.

La medicina di genere è ormai una realtà. Lo è in alcune branche della cura alla persona ma evidentemente il concetto stenta ad affermarsi nella sperimentazione di nuovi farmaci e vaccini. Almeno questa è l’opinione di Antonella Viola, direttrice scientifica dell’Istituto di Ricerca Pediatrica-Città della Speranza di Padova. Antonella è anche Professoressa Ordinaria di Patologia Generale. L’immunologa ha scritto in proposito un editoriale per La Stampa in cui precisa che

“Nell’era della medicina di precisione o personalizzata, mentre si cerca di identificare il trattamento specifico per ogni paziente sulla base delle sue caratteristiche specifiche, paradossalmente si fa ancora fatica a capire che uomini e donne non sono uguali e che il genere ha un notevole impatto sulle patologie e sulla cura”.

La ricerca sui Vaccini anti Covid studiati per gli uomini?

Ed ecco il problema che può essere legato in particolare ai vaccini anti Covid:

“Ancora oggi la maggior parte degli studi pre-clinici, quelli che si effettuano sugli animali, coinvolgono prevalentemente maschi, perché le femmine danno risposte più variabili e quindi complicano le analisi. Spesso anche negli studi clinici le donne sono poco rappresentate. Con la conseguenza che si arriva nelle fasi più avanzate di sperimentazione senza dati solidi sull’efficacia o sugli effetti collaterali di un farmaco nella popolazione femminile”.

Donne ignorate dall’industria farmaceutica

La medicina di genere è nata per un motivo. Proprio perché si è convenuto che lo standard di riferimento “maschio adulto bianco” della maggior parte delle sperimentazione cliniche, non rendesse giustizia alla salute delle donne, ma anche a quella di anziani, bambini e di persone di etnia diverse da quella bianca.

“Per troppo tempo le donne sono state ignorate dall’industria farmaceutica. Inustria che ha prodotto ottimi farmaci per curare maschi adulti senza spendere troppe energie per capire se e come modificarli per l’uso nella popolazione femminile. Sarebbe ora di cambiare strategia. Per farlo, non basterà includere le donne negli studi clinici e nei processi di farmacovigilanza, ma sarà necessario fare uno sforzo maggiore: bisognerà analizzare i dati partendo dalla consapevolezza che siamo biologicamente, e quindi farmacologicamente, diversi”.

Le differenze fra i sessi

Continuando a citarle le parole dell’immunologa emerge una triste realtà. Ecco quindi una possibile spiegazione:

“Nel caso dei vaccini, dunque, le donne hanno risposte spesso caratterizzate da maggiore efficacia ma anche da maggiori effetti collaterali. Anche nel caso dei vaccini anti-COVID19, gli effetti collaterali, da quelli più lievi a quelli più gravi, riguardano prevalentemente la popolazione femminile. Ecco perché sarebbe molto importante che negli studi clinici si analizzassero i dati di sicurezza ed efficacia. Come? separandoli sulla base del genere, cosa che invece non accade.  Anche adesso, nella valutazione dei rischi e benefici associati al vaccino di AstraZeneca e di Johnson&Johnson. La discussione non dovrebbe essere generalizzata ma dovrebbe altresì includere un’attenta analisi sulla base del genere”.

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Articolo di Maria Paola Pizzonia