La popolazione Yazida, sfollata nel nord-ovest dell’Iraq, sta finalmente tornando a quelle che case che ha dovuto abbandonare nel 2014 a causa degli attacchi dell’ISIS e della controffensiva anti-ISIS. In particolare, la parte femminile della popolazione Yazida ha purtroppo dovuto subire violenze di ogni genere. Tuttavia emergono oggi storie di donne per cui, vivere nei campi, è stata un’opportunità di emancipazione.

Così, mentre gli yazidi tornano nel Sinjar per ricostruire le loro vite, le donne possono mettere a frutto quanto imparato grazie all’attivazione di corsi formativi da parte di alcune ONG. C’è, per esempio, la 21enne Husna, che apre la sua piccola palestra dove avvia corsi di boxe lì dove non c’è mai stato nemmeno un impianto sportivo, anche prima che la guerra distruggesse città e villaggi.  I corsi di boxe di Husna sono il primo evento sportivo per donne nella sua città.  Ma non solo, anche seminari di letteratura, corsi di avviamento al lavoro e di educazione ai metodi contraccettivi.

La popolazione Yazida

Husna appartiene al milione e mezzo di sfollati iracheni: civili costretti a fuggire di fronte all’invasione dell’ISIS. Ritornando a quel periodo, spiega la giovane «Ricordo solo che una mattina abbiamo dovuto lasciarci tutto alle spalle, salire in macchina e scappare in montagna. L’Isis si stava avvicinando al Sinjar. Se fossimo rimasti, saremmo stati uccisi, proprio come gli altri». La popolazione yazida era un obiettivo particolare dell’aggressione dell’ISIS. Molti di loro hanno quindi sperimentato un orrore inimmaginabile durante la fuga e hanno assistito all’uccisione o al rapimento dei loro familiari. Dal 2014, gli yazidi sfollati sono stati abbandonati nei campi del Kurdistan iracheno.

I campi profughi

I campi, ognuno dei quali ospita decine di migliaia di sfollati, si trovano solitamente a chilometri di distanza dalle città più vicine e, in pratica, sono isolati dal resto del Paese. Le famiglie hanno dovuto vivere per anni in piccole case container. Questo non ha impedito ad alcune donne rifugiate di migliorare la propria vita. I campi per sfollati del nord-ovest dell’Iraq, sotto il governo regionale curdo, sono pieni di storie di successo di donne che hanno costruito con il minimo indispensabile e hanno lasciato i campi meglio di quando sono arrivate. Husna era infatti uno di loro. Ha imparato a boxare mentre viveva in un campo per sfollati interni chiamato Rwanga, per sette anni, la maggior parte della sua adolescenza.

Sorelle-pugili del campo di Rwanga

Nel 2018 Husna ha firmato per un progetto intitolato “Boxing Sisters”. Una ONG chiamata “Fiore di loto” l’aveva avviata allo scopo di migliorare la salute mentale e fisica delle donne rifugiate. «Sono andata alla prima sessione e mi sono subito innamorata di questo sport», racconta Husna. Tutti gli allenatori, inclusa Cathy Brown (pugile britannica che ha visitato il campo), hanno convenuto che aveva talento. Ora Husna è diventata a sua volta allenatrice di boxe ed è piuttosto famosa. La conoscono non solo le vicine e le amiche del campo di Rwanga, ma anche le donne degli altri campi, che partecipano ai suoi corsi. L’ONG “Fiore di loto” aiuta tuttora Husna negli altri campi per sfollati ad addestrare più donne e ragazze, anche ora che è tornata a Sinjar. Husna dice che la boxe le ha dato uno scopo. «Se non fosse per i corsi di boxe, non saprei cosa fare tornando nel Sinjar – ammette la ragazza – non c’è niente lì per me, nessun lavoro o nessuna università che potrei permettermi».

Campus in Rwanga Storie di successo

Nel campo di Rwanga, i corsi di boxe non sono tuttavia l’unico programma di emancipazione su cui le donne possono fare affidamento. Le ONG come “Fiore di loto” hanno infatti offerto una serie di attività istruttive per le donne così da garantire loro l’indipendenza. «Sono stati tutti programmi di successo perché le donne li hanno accolti e apprezzati e vi hanno preso parte con entusiasmo» afferma Vian Ahmad, direttore regionale della ONG. Grazie alla formazione professionale offerta nei campi, decine di donne hanno imparato ad avviare una propria piccola impresa. Leyla per esempio, è una donna yazida di 37 anni, che ha imparato a cucire grazie ai corsi attivati dall’ente. Ora ha aperto la sua piccola sartoria. «È ironico – prosegue il direttore – ma vivere in un campo ha fornito opportunità alle donne a cui non avrebbero mai avuto accesso, nei loro villaggi». «I nostri corsi di letteratura nei campi – racconta Ahmad – sono sempre stati pieni» e ora più di cento donne hanno imparato a leggere e scrivere. Una di queste è Nove. L’ONG l’ha infatti aiutata ad aprire un piccolo negozio di alimentari nel campo di Essian. Nine può così sostenere la sua famiglia e prendersi cura del marito disabile.

Sorellanza nei campi per sfollati interni

Le opportunità educative che gli assistenti sociali hanno fornito alle donne sfollate nel Kurdistan iracheno vanno oltre la formazione professionale. “Fiore di loto” ha organizzato sessioni in cui le donne potevano imparare di più sul proprio corpo, sui metodi contraccettivi e su come prendersi cura di loro stesse. Altri seminari regolari hanno mantenuto un’attenzione costante sull’uguaglianza di genere nella genitorialità. Ci sono stati molti cambiamenti evidenti, come la denuncia della violenza domestica che prima era un tabù. Dopo il secondo e il terzo anno di lavoro, Ahmad dice di essere rimasta positivamente sorpreso nel vedere che finalmente anche le donne più anziane lo denunciavano. «Dato che le donne hanno trovato una comunità solidale fuori delle loro famiglie, le loro paure sono svanite» spiega il direttore. Lo stesso Ahmad tuttavia non sa se questi cambiamenti perdureranno quando tutte le donne sfollate torneranno nelle loro città e villaggi.

di Serena Reda