C’è un numero massimo di gay che può stare in televisione? Secondo Alberto Contri sì, ma andiamo con ordine. Il Ddl Zan sta attraverso un iter lento e irto di ostacoli, tra cui la stessa presidenza di Andrea Ostellari. Poi la “svolta”: delle 170 consultazioni accettate, il Presidente della Commissione Giustizia del Senato ha deciso alla fine di ascoltarne dal vivo 70; mentre le altre 70 saranno discusse in forma di relazione scritta.

Cosa c’entra Alberto Contri? L’8 giugno, in una di queste consultazioni, il professor Contri ha citato il programma di Rai1 Ballando con le Stelle. Lo cita come esempio di dominio del pensiero LGBTQ+. Il problema per Contri è che tra la giuria del programma ci sono troppi gay. Ecco le sue parole: “Non mi spiegavo come mai, per esempio, pur essendo il 95,5 per cento le famiglie italiane eterosessuali (dati Istat) nella giuria di Ballando con le Stelle (Servizio Pubblico) ci fosse una sovra-rappresentazione di gay (due su cinque) nella giuria“.

Il concetto di rappresentatività sconosciuto

Alberto Contri è stato attaccato dalla rete per aver detto che ci sono “troppi gay” nei programmi tv del servizio pubblico. Secondo lui è la maggioranza delle famiglie italiane che dovrebbero essere rappresentate e non la minoranza. Certo, se si fosse fermato a pronunciare simili insinuazioni di un presunto “dominio omosessuale” nella televisione ci saremmo fatti tutti una risata (grazie ai consigli di Pio&Amedeo). Sarebbe stata solo l’ennesima risata amara davanti all’ennesimo commento omofobico. Ma non è andata così, nel testo dell’audizione presso la Commissione Giustizia del Senato (8.06.2021) ci sono altri spunti di odio. Contri si è espresso in maniera fin troppo esplicita su cosa ne pensa della comunità LGBTQ+, nascondendosi dietro la propria cattedra di professore di Comunicazione Sociale (Università IULM).

I punti più oscuri del testo dell’audizione di Alberto Contri

Ci sono troppi e fondati dubbi che non nasca (la proposta del Ddl Zan) solo per prevenire un problema che in realtà è stato ingigantito grazie ad un massiccio uso dei media: perché secondo l’Osservatorio Oscad, i casi di
violenza su base omofoba ogni anno sono solo qualche decina, l’1% del totale
“. Ogni anno sono solo qualche decina le aggressioni omotransfobiche, secondo Contri – numero che comunque è inaccettabile -, ma che Associazioni smentiscono. I portavoce dei centri antiviolenza denunciano numeri ben più alti. Lo scorso anno (2020) i casi denunciati di violenza omotransfobica sono stati 134, ma il numero delle aggressioni è sicuramente più alto. Guardiamo allora al bilancio dei primi sei mesi del 2021, per vedere se è cambiato qualcosa. Secondo Omofobia.org la conta supera le 50 aggressioni denunciate, tra fisiche e verbali.

La “presunta” urgenza che Contri denuncia è data, secondo il professore di Comunicazione, dal voler introdurre un concetto che non è scientificamente riconosciuto: l’identità di genere. Il riconoscimento di questa “mera invenzione”, per citare le parole di Contri con una punta di ironia, servirebbe alla causa LGBT+ per “impadronirsi della società e dei suoi linguaggi“. Così il tentativo di creare un ambiente più inclusivo e di maggior rappresentatività è diventato un attacco alla società eternormata e binaria. Contri pone una domanda: con tutti questi finanziamenti “come si può parlare di minoranza LGBT discriminata nel nostro paese?“. Bella domanda.

Il problema sono i finanziamenti che le associazioni LGBT (Contri non scrive mai la sigla completa e discrimina in questo modo tutte le altre identità all’interno della comunità) prenderebbero con il Ddl Zan per propinare la “teoria gender” ai bambini nelle scuole. Però le persone queer non sono discriminate, ricordiamocelo la prossima volta che diranno che siamo “contro natura”. Contri infatti ammette limpidamente che l’omosessuale non è sostenibile perché non può generare figli. Insomma l’unico scopo del genere umano, di ogni soggetto e individuo, è generare figli? Non suona anche questo un tantino discriminatorio?

L’attacco all’identità di genere e all’inclusione

“Ho anche amici gay”. Contri usa la solita retorica dell’amico dei gay, ma subito dopo dichiara che per lui è essenziale che un bambino cresca in maniera equilibrata, con una figura paterna e una materna. Non è il primo e non sarà l’ultimo attacco di Contri, su questo possiamo essere certi. Soprattutto perché di questo suo operato si è vantato in Senato, facendo riferimento al suo ventennio di Presidenza presso la Fondazione Pubblicità Progresso. Ci si potrebbe domandare come mai la stessa persona sia rimasta in questo ruolo, prendendosi tanti applausi pubblici, pur perseguendo una strada tanto discriminatoria della comunità LGBTQIA.

Parla di “micidiale persecuzione” da parte dei troll e di mail bombing presso i soci della Fondazione, con la richiesta della sue dimissioni. Persecuzione. Suona strano in bocca a un individuo che su Facebook faceva riferimento agli omosessuali come “checche” o che non riconosce il concetto di identità di genere. Sull’inclusione si pronuncia allo stesso modo, definendola cosa buona e giusta, ma solo se non legata all’educazione del concetto di identità di genere che lui non riconosce come valido. Tanto che la definisce una “deriva antropologica” di chi pensa di poter ignorare il dato biologico e ha intenzione di modificare il corpo umano a proprio piacimento.

Chiude il discorso con una citazione che richiama all’inferno, alla deviazione, all’oscurantismo e ci ricorda che il 2021 si può leggere anche come 1022: “Le strade dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni”.

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Articolo di Giorgia Bonamoneta.