Benvenute e benvenuti su CoffeeNSupes, la rubrica sui supereroi da leggere in pausa caffè!
Tazzina alla mano, vi accompagnerò in un viaggio nel tempo e nello spazio alla scoperta dei film sui supereroi più e meno conosciuti fino a spingerci nelle profondità della psicologia, filosofia, sociologia, mitologia e narrativa nascoste tra le righe degli affascinanti eroi e villain moderni.
In questo appuntamento parleremo del film Black Panther e cercheremo di capire i motivi per cui “Wakanda Forever” è diventato un fenomeno globale. Ma prima, rewind: nelle ultime puntate dedicate al Marvel Cinematic Universe abbiamo parlato della cosmica famiglia dei Guardiani della Galassia e analizzato la guerra civile degli Avengers, e precedentemente abbiamo approfondito il concetto della figura dell’eroe dalla Grecia antica ai giorni nostri. Ora, zuccherate i caffè e allacciate i mantelli…
Wakanda Forever!
Black Panther, una lettera d’amore alla cultura africana
Black Panther, diretto dal regista Ryan Coogler, è molto più di un film sui supereroi. Come abbiamo avuto modo di vedere nelle varie puntate di questa rubrica, spesso dietro essi si nascondono importanti tematiche psicosociali. Black Panther porta questa profondità al livello successivo. Non si ferma, come gli altri film, a suggerirla agli spettatori più attenti, ma la fa diventare il vero motore della trama. È il primo film a portare sullo schermo un supereroe di colore come protagonista, la quasi totalità del cast è composta da attori africani o afroamericani e lo stesso regista lo è.
Black Panther è un viaggio nella cultura africana, una lettera d’amore ad essa. Ryan Coogler usa l’immaginaria nazione del Wakanda come veicolo per rappresentare gli usi e i costumi del continente, ma anche per esplorare la tematica della diaspora africana e delle sue conseguenze sulla comunità afroamericana contemporanea.
Le conseguenze della diaspora africana
Il villain del film è Erik Killmonger (Michael B. Jordan), cugino di re T’Challa (Chadwick Boseman) nato e cresciuto in America. Erik vuole prendere il trono per avere accesso alle risorse del territorio del Wakanda, ricco di vibranio e tecnologie d’avanguardia, e fornire armi in tutto il mondo ai discendenti della diaspora africana per innescare una rivoluzione. Il suo obiettivo è quello di liberare la comunità globale di discendenza africana utilizzando gli stessi mezzi che nella storia sono stai usati contro di loro per rendere il loro popolo schiavo. Vuole raggiungere la liberazione attraverso la violenza, “by any means necessary”, come direbbe Malcolm X.
Erik soffre di quelle cicatrici della schiavitù che fanno parte della cultura afroamericana. Cicatrici storiche ma anche psicologiche causate dal vivere in un Paese che continua a discriminare e avere radici di uno che di fatto non conosce e non ha mai visitato. In questo squilibrio d’identità, sente che i suoi unici antenati sono tutti quegli africani che sono stati coattamente portati in America. È in loro memoria e mosso da rabbia e vendetta contro tutte le ingiustizie subite dal suo popolo che vuole sovvertire l’ordine mondiale della supremazia bianca. Lo scontro tra lui e T’Challa/Black Panther è simbolico. Anche lui vuole portare la libertà, ma attraverso la giustizia e l’equità, con l’empowerment africano di cui il Wakanda è simbolo.
L’importanza della rappresentazione
Se abbiamo la pelle bianca siamo abituati a darci per scontati, e ancor di più se maschi. Gli universi cinematografici e letterari sono colmi di personaggi diversi nei quali ci possiamo identificare. Da bambini abbiamo una varietà infinita di possibili eroi e supereroi a cui ispirarci. È la nostra storia quella che continuiamo a raccontare, è la nostra cultura quella che continuiamo a rappresentare. Attraverso questo meccanismo tutti coloro che non hanno una rappresentazione nei mondi di fantasia iniziano a desiderare di essere come gli unici eroi e i supereroi che vedono, convincendosi di essere in qualche modo sbagliati o di non avere la possibilità di diventare tali. Troppo spesso tutte le popolazioni non bianche vengono rappresentate solo tramite stereotipi, spesso negativi, in cui finiscono per rimanere intrappolate anche le persone reali.
In Black Panther vengono celebrati gli usi e i costumi africani, viene dato spazio alla rappresentazione di personaggi diversi, positivi e negativi, maschili e femminili, nei quali, finalmente, giovani e adulti possono riconoscersi e ai quali possono ispirarsi. Chadwick Boseman è l’icona del black pride di cui il supereroe si fa portavoce, diventato una sorta di vero eroe per la potenza rappresentativa del suo personaggio e della morale e del significato culturale del film.
Una sola tribù mondiale, Wakanda Forever!
Wakanda Forever, il saluto e grido di guerra wakandiano, è entrato a far parte della cultura popolare contemporanea. Da Tilda Swinton alle porte di Venezia alla scorsa Mostra internazionale d’arte cinematografica a sportivi e politici, o anche nella vita quotidiana, Wakanda Forever racchiude in un semplice gesto tutto il significato di rispetto, supporto, equità e giustizia di Black Panther.
Il Wakanda non resterà più nell’ombra ad osservare. Non possiamo. Non dobbiamo. Ci adopereremo per essere un esempio di come noi, fratelli e sorelle di questo pianeta, dovremmo trattarci l’un l’altro. Adesso più che mai gli equivoci sulle diversità stanno minacciando la nostra esistenza. Conosciamo tutti la verità. Ci sono più cose che ci uniscono di quante ci separino. Ma in tempi di crisi i saggi costruiscono ponti e gli stolti costruiscono barriere. Noi dobbiamo trovare il modo per prenderci cura l’uno dell’altro come se fossimo una sola ed unica tribù.
Re T’Challa aka Black Panther (Chadwick Boseman) nella scena dopo i titoli di coda
Continua a seguire la rubrica CoffeeNSupes per ripercorrere insieme tutti i film sui supereroi. Ti aspetto venerdì prossimo con un nuovo appuntamento!
Per entrare a far parte della squadra degli Unicorni Nerd di Metropolitan Magazine seguici sulla nostra pagina Facebook e sul nostro canale Instagram!
Rubrica a cura di Eleonora Chionni