Benvenuti nell’universo cinematografico di Movie Award. Faremo un viaggio negli Stati Uniti ha allo scoperta di una pellicola che ha vinto l‘Oscar come miglior film non senza critiche. Parleremo di razzismo, amicizia e dell’America degli anni 60′. Abbiamo dedicato questa puntata a “Green Book” di Peter Farrelly
Autore di commedie di successo insieme al fratello Bobby come “Tutti pazzi per Mary” e “Lo spaccacuori”, Peter Farrelly con “Green Book” da un’autentica svolta al suo cinema passando ad una pellicola più impegnativa. Questo film infatti è la storia di un’amicizia tra un bianco ed un afroamericano sullo sfondo dell’America razzista degli anni 60′. Un lungometraggio che ha riscatto Farrelly da quella che ha definito la mancata vittoria per “Tutti pazzi per Mary”.
Green Book e la storia di un ‘amicizia on the road
“Green Book” ci porta nell’America degli anni 60′ segnata dal razzismo e dal mantenimento delle vecchie tradizioni. Già il titolo richiama il “Negro Motorist Green Book”, una guida di viaggio degli anni 60′ per afroamericani con alberghi e ristoranti a loro dedicati. Sullo sfondo di un’epoca di contraddizioni sociali Peter Farelly, per la prima volta senza il fratello Bobby, tesse una straordinaria storia on the road con i due protagonisti che riescono andare oltre i pregiudizi del loro tempo. Ne nasce così un lungometraggio che fa commuovere, piangere e ridere allo stesso tempo,
Una vittoria tra mille critiche
Quando l’Oscar per il miglior film andò a “Green Book”, il verdetto dell’Academy non fu accettato all’unanimità. Spike Lee , in lizza con il suo “BlacKkKlansman”, insorse letteralmente contro questa pellicola accusandola di fornire una visione troppo edulcorata del razzismo. Un tipo di messaggio che aveva già fatto presa sull’Academy come dimostra il caso “A spasso con Daisy” e che probabilmente ha fatto vincere il film di Farrelly. Parte della critica avrebbe invece voluto la vittoria di un altro film come , ad esempio, “Vice” di Adam McKay che ha portato sullo schermo la storia dell’ascesa politica di Dick Cheney.
Stefano Delle Cave