Dopo vent’anni, in Afghanistan tornano i Talebani. Che cosa significa? E cosa significa essere ora donne afghane?

Ieri, mentre trascorrevamo allegramente il nostro Ferragosto davanti a grigliate con gli amici o in spiaggia, Ashraf Ghani ha abbandonato la carica di presidente dell’Afghanistan ed è fuggito in Uzbekistan, lasciando ingresso libero agli estremisti e abbandonando il Paese alla disperazione più totale. Non appena il gruppo radicale islamista ha preso possesso delle strade di Kabul, è iniziata una diaspora del popolo afghano: in tanti hanno preso d’assalto l’aeroporto per fuggire e trovare rifugio altrove.

Facciamo il punto: prima un po’ di storia

Nel 1992 venne proclamato lo Stato islamico dell’Afghanistan, retto dai mujaheddin che si dimostrarono da subito deboli e disorganizzati; ciò permise, tra il 1996 e il 2001, l’ascesa al potere da parte dei talebani e dunque, l’istituzione dell’Emirato islamico dell’Afghanistan. Applicarono una versione estrema della sciaria, comportando così l’instaurazione di un sistema estremista e repressivo, mosso da motivazioni (apparentemente) religiose.

Dopo vari eventi di violenza autoctona, l’11 Settembre 2001 i talebani rivendicarono la paternità dell’attentato terroristico alle Torri Gemelle, a New York: questo convinse gli Stati Uniti ad invadere l’Afghanistan, dando inizio all’operazione Enduring Freedom. Il regime integralista cadde a Novembre 2001, in meno di un mese. Successivamente, al potere salì Hamid Karzai fino al 2014, pur sempre affiancato da contingenti NATO a causa dell’instabilità politica e degli attentati terroristici compiuti dai talebani.

Questo clima di calma persevera fino a Gennaio 2020, quando, l’allora Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, annuncia il ritiro di tutte le truppe statunitensi, attuato sotto il Governo Biden. Questo ha provocato la riconquista da parte delle milizie talebane.

Ma in cosa consisteva il primissimo controllo talebano?

Durante il passato regime talebano, si impose a tutta la popolazione una visione del mondo arcaica, quasi medievale: vietate la televisione, la musica e il cinema. A marzo 2001, distrussero due enormi statue raffiguranti Buddha, ovvero i Buddha di Bamiyan, poiché, secondo il credo talebano, raffiguravano degli idoli, andando contro la legge islamica.

Vennero imposte restrizioni alla libertà personale: gli uomini non potevano tagliare la barba. Chi ne soffrì maggiormente furono le donne: costrette ad indossare il burqa, non era loro consentito l’utilizzo di cosmetici e gioielli, non potevano uscire di casa se non accompagnate da uomini appartenenti alla loro famiglia e non potevano avere contatti con quelli che non ne facevano parte. Inoltre, una donna non poteva guidare un’auto, una moto o semplicemente, andare in bicicletta. Pena la lapidazione, lo stupro o la morte.

E oggi cosa significa il ritorno dei talebani per le donne afghane?

Il governo talebano, oltre ad essere estremamente repressivo ed estremista in termini generici, è anche e soprattutto un qualcosa di estremamente patriarcale e misogino. Alcuni testimoni sostengono che nel percorso compiuto per arrivare alla Capitale, i talebani abbiano setacciato ogni casa incontrata, stilando liste di donne nubili che vanno dai dodici ai quarantacinque anni, con il fine di strapparle alle loro famiglie e darle in spose, contro il loro volere, ai guerriglieri, essendo definite “bottino di guerra“.

Una ragazza racconta: “Stamattina le mie sorelle ed io abbiamo nascosto le nostre carte di identità, i diplomi e i certificati. è stato devastante. Perché dobbiamo nascondere cose di cui dovremmo essere fiere? Sembra di dover bruciare tutto quello che ho realizzato in 24 anni.” Da ieri, per le strade afghane, non circolano donne. A Kabul, le saracinesche di un centro benessere su cui erano raffigurate bellezze all’occidentale, vengono coperte da uno strato di vernice bianca.

Ovviamente la condizione femminile, precedentemente al rientro dei guerriglieri, non è che fosse al pari dell’Occidente; come riportato da ActionAid, che denuncia ancora spose bambine e matrimoni forzati nonostante l’impegno di diverse Onlus che operano sul territorio, tra cui Pangea Onlus. Grazie anche alle storie Instagram di Pangea, riusciamo a carpire un po’ di più di ciò che sta accadendo: la Onlus citata è stata costretta a distruggere la documentazione di tutta la sua attività per salvaguardare l’identità di coloro che sono state aiutate negli ultimi anni e la propria incolumità. Le attiviste temono di uscire per le vie dove girano armati i miliziani e che potrebbero giustiziarle, così come hanno fatto con i membri delle Onlus dei distretti vicini.

Intanto, i parenti che vivono all’estero invocano aiuto e soccorso per le proprie care, come lo chef Hamed Hamadi, il quale, da anni vive a Venezia ed ha fatto un appello affinché la sorella venga tratta in salvo dall’Afghanistan. Il portavoce dei talebani ha assicurato il mantenimento del rispetto dei diritti delle donne e dell’accesso all’istruzione, oltre al consenso a lavorare, uscire sole ed indossare l’hijab.

Quanta paura fa la realtà?

Nonostante ciò, perpetra un clima di scetticismo. Si teme che tutta l’indipendenza guadagnata nell’ultimo ventennio, vada così dispersa. Riflettere su ciò che potrebbe spettare a quelle donne provoca un brivido lungo la schiena. E per chi come noi, vive nella parte di mondo fortunata, risulta impensabile aver bisogno del consenso per fare quelle cose definibili come normale routine. Fa paura pensare alla condizione delle sorelle afghane, nuovamente vittime del terrore di tornare a non avere una voce, a non esistere. Sembrerebbe la trama di un romanzo distopico e invece, è proprio la realtà.