Il 10 settembre 1827, muore il grande poeta neoclassico Ugo Foscolo. Foscolo morì solo in esilio in Inghilterra. Fu uno dei più notevoli esponenti del periodo a cavallo fra Settecento neoclassico e Ottocento romantico. Durante tutta la sua vita si sentì esule: si allontanò dalla Grecia piccolissimo e si rifugiò in Italia.

Crebbe nella Repubblica di Venezia, ma ben presto questa venne ceduta agli austriaci. Foscolo riparò allora a Firenze, Milano, Parigi. Sappiamo che riuscì a tornare in Italia, lavorando come professore Universitario, fece parte dell’esercito di Napoleone e quando quest’ultimo cadde dovette, ancora una volta, scappare. In questo periodo abbandonò definitivamente l’Italia e raggiunse dapprima la Svizzera e poi l’Inghilterra.

La morte per Foscolo

Ugo Foscolo. Photo credits: Donnemagazine.it

Due dei temi ricorrenti nell’opera di Ugo Foscolo sono la morte e l’esilio. Foscolo dedicò tantissime delle sue opere più conosciute a questi due temi fondamentali per la sua vita.

Cantò fatali, ed il diverso esiglio
Per cui bello di fama e di sventura
Baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.

Tu non altro che il canto avrai del figlio,
O materna mia terra; a noi prescrisse
Il fato illacrimata sepoltura.

Ugo Foscolo, A Zacinto, 1802-03.

Questo è ciò che Ugo Foscolo ci scrive nelle ultime due terzine del famosissimo sonetto ‘‘A Zacinto”. Si paragona ad Ulisse, un eterno viaggiatore, destinato a un lungo e turbolento viaggio per tornare a casa, nella sua Itaca. La grande differenza che ci vuole sottolineare è che Ulisse riuscirà a baciare la sua amata terra, il poeta no.

Questo è il sentimento di angoscia che pervade l’animo di Foscolo.

Questo sentimento non è solo del poeta veneziano, i contemporanei a provano questa angoscia straziante, che porta al ragionar sulla morte <<La fatal quiete>>, come la chiama Foscolo nel sonetto ”Alla Sera”.

La morte non è vista come un qualcosa di straziante, ma come un momento di verità. La morte viene trattata da ateo, Foscolo non è credente, non crede a una vita ultraterrena e questo lo porta ad attaccarsi alla simbologia del sepolcro, come luogo in cui le persone care possa ricordarti.

La morte di Jacopo Ortis, l’alterergo di Foscolo

Le ultime lettere di Jacopo Ortis” è una delle opere più belle che il poeta scrisse. Jacopo non era altro che lo stesso Ugo. In conclusione vorrei citare uno dei pezzi più emozionanti del romanzo, la morte suicida di Jacopo.

Jacopo non era altrimenti partito; ed ella sperò di potergli dire addio un’altra volta: e scorgendo il servo da lontano voltò il viso verso il cancello donde Jacopo soleva sempre venire, e con una mano si sgombrò il velo che cadevale sulla fronte, e rimirava intentamente, costretta da dolorosa impazienza di accertarsi s’ei pur veniva: e le si accostò a un tratto Michele domandando aiuto, perché il suo padrone s’era ferito, e che non gli parea ancora morto: ed essa ascoltavalo immobile con le pupille fitte sempre verso il cancello: poi senza mandare lagrima né parola, cascò tramortita fra le braccia di Odoardo.

Il signore T*** accorse sperando di salvare la vita al suo misero amico. Lo trovò steso sopra un sofà con tutta quasi la faccia nascosta fra’ cuscini: immobile, se non che ad ora ad ora anelava. S’era piantato un pugnale sotto la mammella sinistra ma se l’era cavato dalla ferita, e gli era caduto a terra.

Federica Tocco

Seguici su Google News