Metroid Dread è uno di quei giochi per i quali morivo dalla voglia di scrivere una recensione. Il nuovo first party per Nintendo Switch, venuto alla luce insieme alla nuova versione OLED della console nipponica, si è infatti fin dai primordi dimostrato un degnissimo sequel della storica saga spaziale. Il che, credetemi, non è un’impresa da poco. Il tempo, videoludicamente parlando, è spesso ingeneroso, violentemente ingiusto e scientificamente inattaccabile. Grafica, tecnica, arte, level design e gameplay sono tutti “oggetti” tanto metafisici quanto tangibili; e quindi, contemporaneamente sia immortali, capaci di resistere alle sferzate del progresso, che “già vecchi” poche ore, che dico, minuti che sono stati rilasciati sul mercato consumer.
Metroid e Samus, però, in Dread sono riusciti a cavalcare l’onda del tempo con innegabile eleganza. Senza peccare mai di ubris, e quindi senza nemmeno offrire eccezionali spunti strettamente innovativi. Bensì, lavorando con qualità costante dal primo all’ultimo minuto della nuova avventura della cacciatrice di taglie più sexy, implacabile e coraggiosa della galassia. Metroid Dread è quindi un’immagine vivida di come i titoli 2D di Samus erano sempre apparsi agli occhi dei fan. Similmente ad altri titoli storici che hanno tentato, non sempre riuscendo, il salto nel futuro, Dread non rinuncia quindi a nessuno degli elementi che hanno reso celebre Samus e la sua tuta. E riparte, persino con la trama, esattamente da dove avevamo interrotto il viaggio interplanetario; ben 19 anni fa.
Metroid Dread Recensione, Storia con la S maiuscola
L’ultimo capitolo 2D di Metroid con protagonista Samus, senza contare il Remake per 3DS del 2017, è infatti Metroid Fusion, datato 2002 su Game Boy Advance. Ai fini della giocabilità spicciola, però, Dread riuscirebbe pure a lasciarsi giocare senza un’esperienza antecedente sul capostipite dei Metroidvania. Il problema è che Metroid Dread, così come I suoi predecessori, non è solo fatto di sparatorie, puzzle, backtracking alla ricerca di nuove vie aperte da equipaggiamenti appena sbloccati e via dicendo. Bensì, deve il suo successo e buona parte del suo fascino agli elementi di lore, narrazione ambientale se preferite, che distribuisce con parsimonia, ma sempre con grande efficacia e spettacolarità. Va da sé che non potete capire quanto sia emozionante sentire Samus che dialoga in perfetta lingua Chozo. Né si apprezza a sufficienza la lingua “tagliente” della IA Adam, senza sapere chi sia l’uomo dietro i circuiti che la compongono.
Il riassunto fatto a inizio gioco resta pertanto un semplice reminder per i più smemorati, che in questi diciannove anni potrebbero aver scordato in quale delle difficili situazioni che Samus ha affrontato fossero stati impantanati l’ultima volta. Ma non é, a mio avviso, un ausilio sufficiente a fornire un quadro esaustivo o anche solo utile ai neofiti. Che farebbero bene a partire un po’ più indietro, anche solo dal capitolo disponibile sulla collazione NES di Switch Online. Per poi ricucire i pezzi mancanti all’appello con un recap su YouTube. Magari, quello rilasciato ufficialmente da Nintendo: breve, ma sufficiente. Meglio di niente, ecco.
Ma è anche un nuovo inizio
Non lasciatevi spaventare, però, dalle mie parole di poco fa. Metroid Dread è un’esperienza ludica che non volete lasciarvi sfuggire, a costo di dover studiare un poco prima di affrontarla. Non solo perché è la storia dei Metroidvania che si ripete su console moderne. Ma perché è la storia dei Metroidvania che rinasce sulle console moderne. Laddove il passato di Samus è inciso su steli in 8bit, il presente raccoglie quelle steli e le depone nella pancia di un razzo rivolto verso le stelle; verso un futuro in cui nuove avventure figlie del successo di Dread potranno nascere e svilupparsi anche, non solo, con variazioni sul gameplay più importanti di quelle scelte per traghettare “il vecchio” verso “il nuovo”.
Metroid Dread potrebbe, difatti, sembrare ben più conservativo di quanto non sia, e di quanto avrebbe potuto essere. Ma lo è coscientemente, selezionando una via meno invasiva possibile per i fan storici; ma non meno soddisfacente per chi vorrà imparare, ora o in futuro, il significato della parola Metroidvania. Che non può prescindere dal 2D, per ora, a meno di piccoli guizzi di inquadratura scelti con cura di volta in volta, per sottolineare momenti salienti o di particolare intensità. O che, pure, non fa a meno dell’odiato, di solito, backtracking; che i giocatori più abili, furbi o attenti, però, sanno bene come bypassare o valorizzare al meglio in ogni run.
Per questo, giocando a Metroid Dread con i ritmi e le intuizioni che avete sfruttato, forse, per una vita sui classici Metroid vi sentirete perfettamente a casa. E gli elementi di alienazione dalla routine, di esaltazione dell’epoca moderna risalteranno con maggior veemenza, spettacolarità e forza.
Metroid Dread Recensione, 2D with a twist
Dicevamo, che Metroid Dread non rinuncia alla grafica 2D. Questo, pur essendo stato sviluppato in 3D, e possedendo, teoricamente, la facoltà di essere visualizzato in 3D. Persino, citando e suggerendo questo dettaglio attraverso determinate cut scene in prima persona, che sembrano uscite da un (futuro) gameplay di Metroid Prime 4. Ma lungi da me inneggiare al “potevano farlo 3D”: tutt’altro.
Aver scritto la recensione diversi giorni dopo la release mi ha permesso di confrontarmi non solo con colleghi del settore, ma anche e soprattutto con diversi utenti e giocatori diversi. Molti dei quali mi hanno confessato che avrebbero preferito una grafica e un gameplay 3D, che avrebbe, secondo loro, potenziato la carica immaginifica dell’esplorazione. Ma a loro, e a voi oggi, ho detto e dico che la forza delle ambientazioni di Metroid Dread risiede proprio nella scelta di centellinare i momenti 3D (che poi sono 2.5D alla fine), preferendo un classica esplorazione a scorrimento laterale per tutta la partita.
Il level design certosino, infallibile e Incriticabile di Dread, infatti, parla da solo. In una lingua talmente soave e comprensibile da tutti da risultare davvero perfetta. Non ci sono inflessioni dialettali, nè errori di pronuncia nel level design di Metroid Dread. Che parla contemporaneamente a tanti giocatori diversi, dicendo a ciascuno proprio quel che vorrebbero sentirsi dire, quando serve loro di sentirselo dire.
Ti immerge completamente in un musicale labirinto di suoni, emozioni, sfide e avversari. Che ora ti confonde, ti ammalia e colpisce; finché non lo comprendi appieno. Allora, capisci ogni sfumatura, ogni parola cade nella frase con grazia. Le piattaforme inaccessibili diventano tue alleate dopo la scoperta di un nuovo power up. Oppure, l’illuminazione ti colpisce, e scopri come sfruttare una movenza particolare per fare quel salto che sembrava impossibile. Allora e solo allora capisci l’importanza del 2D di Metroid Dread. Che è, di fatto, una limitazione volta a far esplodere la fantasia del giocatore; un paletto messo lì apposta per costringerti ad aggirarlo.
Taglia e cuci… un po’ troppo?
Tuttavia, se un critica va mossa, e va ahimè mossa, a Metroid Dread, è un eccessivo riciclo di Asset sparsi per il mondo di gioco. A partire dal design e dai momenti dedicati agli EMMI, i più forti e innovativi della produzione. Il detto “visto uno visti tutti, purtroppo, si adatta perfettamente alle fughe forsennate dai temibili robot assassini. Che da terrorizzanti, diventano in breve tempo solo noiosi, frustranti (se non si è in grado di fermare i loro attacchi da 1 hit KO) e lesivi della libertà esplorativa. Da un Metroid così bello da vedere, giocare, attraversare, mi sarei aspettato infine una varietà di sfondi, nemici, ambientazioni e biomi più caratterizzata.
I comunque bellissimi panorami, scorci e stanze di Dread, invece, non riescono sempre a spiccare con sufficiente unicità gli uni dagli altri. Delineando, probabilmente, il profilo di uno sviluppo sperimentale per il titolo, con un costo produttivo tarato al ribasso nel timore di un fallimento. Paradossalmente Dread, titolo della saga più spaventoso e quasi a tinte horror, riesce meno laddove cede alla paura, immotivata, di non riuscire ad avere abbastanza mordente per il pubblico moderno.
Metroid Dread Recensione, in conclusione: il capitolo più importante della saga
Metroid Dread è il capitolo più importante della longeva saga di cui è l’ultimo nato. Il capitolo da cui dipenderà la pubblicazione di ulteriori sequel, ma anche quello che proietta definitivamente la saga nel presente videoludico. Il capitolo che prende ispirazione non solo dai suoi originali predecessori, ma anche dai titoli indie, o meno, che quei predecessori hanno ispirato. E forse, forse, non è del tutto sbagliato dire in fase di recensione che Metroid Dread “deriva” per alcuni elementi da Hollow Knight. Così come a sua volta Hollow Knight prendeva a piene mani dall’ arsenale di Metroid. E perché non dovrebbe essere così?
L’evoluzione del mondo videoludico passa e deve passare obbligatoriamente attraverso sperimentazione, contaminazione e adattamento. E Metroid Dread, esattamente come fa Samus potenziando la sua tuta, non butta via niente. Assimila, apprende, fa suo il momento ludico attuale, fondendolo con il suo illustre passato. E, alla fine, esce trionfante ancora una volta. Più fiera, meravigliosa e potente che mai. Concludo con un appunto: se non giocate Metroid Dread su Switch OLED, non criticate Switch OLED. La miglior piattaforma per giocare in mobilità sul mercato, ora e per, credo, parecchio tempo.
METROID DREAD RECENSIONE | TESTATO SU NINTENDO SWITCH OLED
+Grandissima rigiocabilità
+Gameplay allo stesso tempo conservativo e innovativo
+Level design senza difetti: perfetto
+I momenti EMMI sono spaventosi…
-… ma a lungo andare ripetitivi e frustranti
-Avrei voluto qualche ambientazione in più: quelle presenti sono tutte così belle!