La morte, uno dei temi forse più rappresentati e presenti nelle rappresentazioni artistiche. Tantissimi gli artisti che, indipendentemente dal contesto e dall’epoca in cui hanno operato, hanno sentito la necessità di confrontarsi con questo tema. Oggi, 2 Novembre è la giornata della commemorazione dei Defunti e per questo la Rubrica Arte di questa settimana è dedicata proprio al tema della morte. Tre opere molto diverse realizzate in periodi differenti, ma accomunate da un unico pensiero, quello di sondare il mistero della morte.
La rappresentazione della morte ha sempre suscitato nell’arte un punto di ricerca Tante le forme sotto la quale è stata rappresentata. A volte come un concetto, a volte personificata. La signora dai capelli fluenti e dall’aspetto cadaverico, come veniva raffigurata fino al tardo Medioevo dai popoli di origine latina, o figura scheletrica con la falce, avvolta in un mantello nero, nell’accezione greca e tedesca. La morte è stata raffigurata con immagini che spesso sono caratterizzate da una nota tenebrosa, da un senso di decadenza e annientamento, da un sentimento di stupore e di paura nei confronti di un qualche cosa che l’essere umano teme ed evita. Ma non è stato sempre così. La morte attraverso le rappresentazioni artistiche ha assunto tante sfaccettature.
Il Trionfo della Morte
Lo scheletro, il tristo mietitore, il corpo decomposto. Nell’immaginario collettivo questa è l’immagine universale delle morte. Ma prima del tardo Medioevo questo concetto non esisteva. Lo scheletro, dal 1300 in poi, divenne ufficialmente il paradigma del macabro. “Il Trionfo della Morte” è l’opera, di autore ignoto, che risale al 1446 circa e proviene dal cortile di Palazzo Sclafani, sede nel quindicesimo secolo del primo grande ospedale pubblico del capoluogo siciliano. La Morte, che irrompe in un giardino sul dorso di un enorme spettrale cavallo scheletrico, lanciando frecce che uccidono personaggi di tutte le fasce sociali, occupa la parte centrale dell’affresco. La Morte ha al suo fianco la falce e una faretra, suoi tipici attributi iconografici, ed è raffigurata nell’attimo in cui ha appena scoccato una freccia, che ha colpito il collo di un giovane, nell’angolo destro in basso. È una rappresentazione di carattere morale, un ammonimento rivolto a tutti, che riesce ad esprimere qualcosa di molto preciso. La transitorietà dell’esistenza, la fragilità della vita, la caducità umana, e ricorda che l’incombenza della morte riguarda tutti indistintamente, a prescindere dalla posizione sociale e dal ceto a cui si appartiene.
Lezione di anatomia del dottor Tulp
La morte però, non è solo qualcosa di macabro, inspiegabile e terrificante. La morte è anche qualcosa di estremamente razionale. Ce lo mostra Rembrandt nel suo “Lezione di anatomia del dottor Tulp”. In questo dipinto non c’è spazio per la paura irrazionale, né per il mistero. La morte, in questo caso, è semplicemente l’ultima tappa della vita di un uomo. Non c’è nulla di misterioso. L’uomo è morto ed il suo corpo può ancora essere utile alla scienza. “Lezione di anatomia del dottor Tulp” è un olio su tela, dipinto da Rembrandt nel 1632, oggi conservato al museo Mauritshuis de L’Aia. Il quadro raffigura la seconda autopsia pubblica avvenuta nel 1632 ad opera del professor Nicolaes Tulp. Il professore è intento a tenere una lezione pratica che prevede la dissezione del corpo di un criminale giustiziato. Rembrandt scelse di fissare il momento in cui il medico disseziona l’avambraccio del cadavere per mostrarne la struttura muscolare. L’azione della scena si incentra proprio su quel gesto molto realistico in cui, con l’aiuto di pinze chirurgiche, mostra il funzionamento dei tendini. Dal dipinto emerge anche un messaggio morale che collega la dissezione alla criminalità e al peccato con il monito che la morte attende tutti quanti.
Ophelia
La morte può assumere ancora sembianza diverse. Non solo qualcosa di raccapricciante e funereo. Esempio sublime di una concezione completamente differente della morte, può essere il dipinto “Ophelia” di John Millais. Quest’opera può essere presa come rappresentante unica di un concetto di morte romantica, tipica del periodo. La morte, in questi casi, è rappresentata da una fanciulla bellissima ed eterea. Non c’è niente di spaventoso in questa rappresentazione. “Ophelia” è un dipinto ad olio su tela del pittore preraffaellita John Everett Millais, realizzato nel biennio 1851-1852 e appartenente alla collezione della Tate Gallery di Londra. Ophelia è l’ideale di bellezza eterno e immutabile nella fugacità effimera del quotidiano. Una morte sublimata, quindi, in cui Ophelia appare più bella che mai, nella fissità delle labbra dischiuse e sensuali. Si potrebbe pensare quasi, che si tratti di una morte non del tutto realizzata, incompiuta. Con le mani leggermente schiuse, immobili quasi ad accogliere il fatidico momento. Solo l’acqua sembra in movimento. Un poetico abbandono alla morte. Nel dipinto sono distribuiti vari messaggi simbolici. Il pettirosso a sinistra è un simbolo del sacrificio e della Passione di Cristo. Le margherite simboleggiano invece l’innocenza, le viole l’ amore non corrisposto, i papaveri il sonno mortale e l’ortica il dolore. Il salice infine ricorda l’abbandono amoroso.
Ilaria Festa
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