Usciva oggi a Londra, nel 1971, “Nursery Cryme“, il quarto album in studio dei Genesis. Categoria progressive rock, è il primo album composto dalla formazione storica. Abbiamo un giovane Phill Collins alla batteria, Steve Hackett sulle chitarre, Peter Gabriel come voce inconfondibile, Mike Rutherford al basso e Tony Banks all’organo e al pianoforte. “Nursery Cryme” come nursery rhymes: il titolo dell’album è un gioco di parole che spinge sul doppio. Prepotente la nostalgia per un mondo perduto, simile alla nostalgia che si prova per la propria infanzia. C’è l’inferno, ma c’è anche la ricerca del paradiso. Abbiamo lo scenario grigio della modernità, ma anche la ripresa dei mondi epici e mitologici di un’età dell’oro mai dimenticata.

L’apertura di “Nursery Cryme”: “The musical box”

La traccia d’apertura dell’album, “The musical box“, è scenica. Occupa dieci minuti e racconta una favola nera: un bambino, ucciso da una ragazzina, torna in vita dall’aldilà per soddisfare le proprie pulsioni. La scatola musicale contiene una storia che Peter Gabriel ama spesso recitare sul palco, ma rappresenta anche una magistrale scalata di stili: il suono classicheggia un po’ all’inizio per portarci nella storia, fino a diventare quasi metal nella seconda parte.

Nursery Cryme” non avrebbe potuto aprirsi in altro modo: tutta l’atmosfera dell’album è contenuta in “The musical box“. Tocca tutti i temi presenti nel disco: la nostalgia per qualcosa di perduto, una vita spezzata che non è riuscita a concludersi, l’infanzia corrotta, la violenza cieca, l’innocenza e la crudeltà mischiate insieme. Parte come un’opera bucolica e poi cresce d’intensità fino a spezzare l’incantesimo, un po’ da prendere come metafora della vita in generale. E come metafora dell’album, preso per intero.

L’album delle favole tristi

For absent friend” è la traccia che segue “The musical box“. Entriamo nell’atmosfera cupa e grigia di un’epoca che ci sembra vittoriana, dove due vedove rimpiangono in silenzio i mariti che non ci sono più. È una ballata breve e triste che dà respiro e che ci prepara a tuffarci in “The return of the Giant Hogweed“. Per questa terza traccia, i Genesis tirano fuori dalla scatola musicale un ritmo incalzante in puro stile progressive. C’è allarme, nel grigio cittadino, per il ritorno della Giant Hogweed, una pianta esotica dalla linfa tossica che si attiva con la foto-esposizione. Che cosa abbiamo qui? Forse una denuncia all’industrializzazione e una natura che si ribella, forse soltanto un’altra favola nera. Ma una favola nera sicuramente ritmata a dovere.

Seven stones“, quarta traccia, ci riporta nel mare calmo di “For absent friend“. Melodica e complessa, ci racconta di uomini soli alla ricerca di una rotta. Ripete spesso: la guida del vecchio è il caso. Si tratta forse di una storia epica travestita da tragedia: Ulisse è qui, anche se non è citato ma sembra sia presente, e si è arreso al flusso delle onde. Il ritmo riprende in pieno poi con “Harold the barrel“. Harold è un ristoratore che scompare e che tutti cercano: il ritmo della traccia è quasi confuso, caotico come le voci di tutti quelli che si chiedono con arrogante prepotenza dove sia finito Harold… fino a che non lo ritrovano, pronto a gettarsi dal balcone. Un po’ creepy ma non troppo, grazie all’ironia a tratti leggera del testo.

“Nursery Cryme” è il punto di raccolta di un tempo bloccato

Le ultime due tracce, “Harlequin” e “The fountain of Salmacis“, chiudono l’album in maniera magistrale. Se fino a questo momento abbiamo trovato favole nere, uomini soli, bambini dall’oltretomba e ristoratori pronti a farla finita, ora ci troviamo di fronte al ricordo del paradiso perduto. “Quando potrai vedere, ordina i pezzi e mettili a posto” canta Peter Gabriel in “Harlequin“. Il cielo in queste ultime due tracce è ancora grigio e la nebbia continua a confondere i marinai, ma esiste nonostante tutto un paradiso perduto da continuare a inseguire.

Se la tragedia è un’opera perfetta, perché ha un inizio e una fine compiuti in un giorno, quest’album è da considerare come una tragedia nel senso letterale. Tutti i personaggi presenti e tutte le favole nere che ci racconta, sono descritti nel tempo immobile di un’azione. “Nursery Cryme” è il punto di raccolta di un tempo bloccato che però, in conclusione, dà la speranza di poter vedere oltre la nebbia.

Immagine di copertina © Paul Whitehead

Marta Barone

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