Se si parlasse di mafie e di territori, le prime regioni per densità e pervasività criminale che verrebbero in mente sarebbero la Calabria, la Sicilia, la Campania o la Puglia, ovvero quelle in cui le grandi organizzazioni criminali del nostro paese sono nate e hanno prosperato nei decenni, continuando a dettare la propria legge. Oppure, si potrebbero elencare le numerose inchieste che hanno disarticolato gli affari dei clan nelle regioni del nord Italia, luogo privilegiato per il riciclaggio e il reimpiego dei capitali. Ma la Basilicata? Tralasciando l’attenzione molto alta che, al contrario, la cronaca locale vi ha sempre dedicato, è innegabile che quando si parla di crimine organizzato pochi penserebbero mai come prima opzione alla Basilicata.

Quando si parla della Basilicata, le prime cose che vengono in mente sono i paesaggi. Le montagne impervie, ricoperte di foreste e ammantate di neve d’inverno sono uno spettacolo mozzafiato per chi arriva nella regione o per quelli che, più semplicemente la attraversano in auto passando dall’Autostrada del Mediterraneo. Una economia vivace, diversi distretti industriali, un’agricoltura florida e la sua quasi assenza nella narrazione sul crimine organizzato da parte della stampa nazionale la fanno quasi apparire come un’isola felice nel Mezzogiorno d’Italia. Ma è davvero possibile che essa sia stata risparmiata dalla conquista criminale? Purtroppo, la risposta è no.

Nella regione si manifestano, insieme ad organizzazioni criminali dedite alle più svariate tipologie di delitti (dai furti alle truffe, fino al traffico anche internazionale di sostanze stupefacenti, svolto in collegamento con importanti organizzazioni criminali pugliesi, campane e calabresi), anche organizzazioni strutturate di tipo mafioso.

Armando D’Alterio, Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Potenza

Questo è quanto si può leggere nell’ultima relazione semestrale che la Direzione Investigativa Antimafia ha inviato al Parlamento nel capitolo riguardante l’attività mafiosa in Basilicata. Ma, se già l’inizio non è dei più incoraggianti, il seguito non promette niente di buono. Dal punto di vista criminale, la regione può essere divisa idealmente in tre parti: l’area del Metaponto e della provincia di Matera da una parte, la zona del Vulture – Melfese e, infine, la provincia di Potenza.

Le tre macroaree, pur presentando alcune attività criminali sovrapponibili, si differenziano soprattutto per i settori infiltrati o già sotto il controllo monopolistico della criminalità organizzata. Tra le tre, inoltre, è la provincia di Matera a far segnare il più alto tasso di densità mafiosa dell’intera regione. La sua particolare vulnerabilità alle infiltrazioni mafiosi deriva soprattutto dalla posizione geografica, vero e proprio snodo tra Puglia, Calabria e Campania; nel suo territorio sarebbe fiorente lo smercio di stupefacenti, oltre ad un vero e proprio controllo pressoché esclusivo delle attività riguardanti la produzione e il commercio dell’ortofrutta, il turismo e l’edilizia. Non manca poi un forte condizionamento sull’operato della Pubblica Amministrazione e, in generale, verso chi tenta di ribellarsi allo strapotere dei clan, attuato attraverso attentati ed intimidazioni di vari livelli di intensità. Condizionamento che avvolge le sue spire intorno agli enti locali, come dimostra il cado dello scioglimento per infiltrazioni mafiose del comune di Scanzano Jonico.

Numerose inchieste giudiziarie hanno consentito di squarciare la cappa di oscurità intorno ai traffici malavitosi attualmente in essere in Basilicata. Le operazioni nominate “Metalba” e “Paride” hanno consentito di colpire in maniera forte quanto rimasto del clan Russo di Tursi (Mt), già decimato da precedenti operazioni di polizia. Dalle indagini citate è emerso come fosse attivo un imponente canale di rifornimento degli stupefacenti tra l’Albania e la costa jonica metapontina, grazie all’opera di corrieri albanesi. Altre inchieste hanno poi permesso di accertare la presenza in quest’area di elementi legati alla ‘ndrangheta calabrese, sodali della cosca Pisano di Rosarno (Rc). Questi ultimi, si sarebbero stanziati in particolare a Scanzano Jonico e a Policoro già dagli anni ’80, quando alcuni di loro vennero mandati qui al domicilio coatto. I Pisano, noti come “i diavoli”, avrebbero stretto legami con gli esponenti della criminalità locale fin da allora, affidando a questi ultimi l’attività di spaccio e mantenendo per se la gestione degli altri affari. Il metapontino è considerato da alcune cosche della ‘ndrangheta come una propria area di pertinenza esclusiva.

L’area del Vulture – Melfese, Nel nord della Basilicata al confine tra Campania e Puglia, è invece il regno delle famiglie Cassotta, Di Muro, Delli Gatti, Barbetta e Gaudiosi. Qui, secondo le indagini della DIA, la criminalità avrebbe ormai ramificazioni molto profonde nel tessuto economico locale, come dimostrano i numerosi provvedimenti di sequestro di beni e società attive in particolare nei settori del movimento terra, dell’edilizia più in generale e dell’autotrasporto di merci per conto terzi, settori in cui vengono riciclati gli enormi proventi del traffico e spaccio di stupefacenti. Numerosi attentati e intimidazioni contro imprenditori dei settori succitati, oltre che contro rappresentanti delle istituzioni e vari amministratori locali, sono una spia importante di una infiltrazione già profonda. Vi è poi da segnalare i dati sulle truffe riguardanti l’uso dei fondi europei (con particolare riguardo ai fondi destinati all’agricoltura), sulle quali le indagini avviate sono state l’87% in più rispetto all’anno precedente. In aumento anche (dell’11,65%) le indagini per estorsione, strettamente legate agli atti intimidatori di cui si è scritto poc’anzi.

Nell’area di Potenza e dei comuni limitrofi, invece, l’attività criminale dei gruppi storici si concentra sull’usura, il recupero crediti, il traffico e lo spaccio di droga e le estorsioni. Non mancano poi i collegamenti con quelli che nella relazione vengono definiti come “settori deviati delle pubbliche amministrazioni”, indispensabili per poter reinvestire i soldi illeciti in attività all’apparenza perfettamente legittime, utilizzandole tanto come lavatrici quanto come mezzi per accaparrarsi fondi pubblici di varia natura. Ma se a Potenza (regno delle famiglie Martorano e Stefanutti) la situazione è seria, in provincia le cose non vanno meglio. A Venosa, città natale del poeta latino Orazio, è molto attivo il clan Martucci, il quale aveva conquistato il monopolio del traffico e dello spaccio nell’area, mantenendo stretti rapporti con i clan pugliesi da cui ricevevano lo stupefacente. La particolare caratura criminale dei Martucci emerge dal fatto che riuscissero a dare e a fare eseguire i propri ordini anche dal carcere, segno di un potere criminale non di poco conto.

Dall’analisi dei dati e delle risultanze investigative, emerge che la struttura della criminalità organizzata lucana si sviluppa come una galassia su base familiare in cui ogni famiglia è autonoma, e che non sembra vi sia un capo riconosciuto da tutti i sodalizi o, comunque, un qualcosa che assomigli alla Cupola di Cosa Nostra, nonostante le forti rassomiglianze con le consorterie criminali delle regioni confinanti. Ma il fatto che ciò ancora non esista, non vuol dire che non possa formarsi in futuro.

Abbassare la guardia su certi fenomeni, minimizzare o gridare al complotto, come fatto in passato dal Consigliere regionale Francesco Mollica non farà altro che renderli parte del quotidiano in maniera indissolubile. Ed allora sarà troppo tardi.

Lorenzo Spizzirri