Nato ad Asti il 16 gennaio 1749, Vittorio Alfieri è considerato uno dei personaggi principali della storia della letteratura italiana. Pur provenendo da una famiglia nobile e agiata economicamente, la sua vita fu tutt’altro che semplice. Alfieri era infatti tormentato da uno spirito inquieto e malinconico, il quale lo spinse a viaggiare di continuo per tutta Europa senza trovare pace. Tentò diverse volte il suicidio, senza mai riuscirci definitivamente.

Costruì da solo la propria conoscenza letteraria. Era nativo di lingua piemontese, ma studiò a lungo pur di imparare il toscano (quello che poi diventò a tutti gli effetti l’italiano). Vide la Rivoluzione Francese con un grande entusiasmo iniziale, che però pian piano andò ad esaurirsi. L’autore rimase infatti molto deluso dalla violenza che veniva adoperata, ciò lo portò a definirsi un controrivoluzionario. L’irrigidimento della sua posizione nei confronti dei temi politici influenzò molto la sua produzione letteraria, ricordiamo i suoi trattati Della Tirannide e Del principe e delle lettere.

Lo stile delle tragedie di Vittorio Alfieri

Nel XVI Secolo il genere tragico in Italia non aveva ancora trovato esiti soddisfacenti, in grado di competere con il teatro francese del tempo. Se per la commedia era stata messa in atto la riforma teatrale di Carlo Goldoni, e per il melodramma la figura di Metastasio era stata di fondamentale importanza, la tragedia ancora non aveva trovato un proprio vate. Vittorio Alfieri riuscì a trovare in questo ambito una propria espressione originale, pur restando legato alla tradizione classica.

La scena tragica alfieriana è quella di un teatro scarno, vuoto. Le sue opere sono piene del “solo soggetto”, vengono esclusi tutti gli elementi accessori e la narrazione è uno dei punti cardine. L’autore mostra di apprezzare la brevità e parla della revisione delle sue tragedie in termini di sottrazione. C’è un labor lime che cerca di rendere il verso conciso ed efficace. L’effetto drammatico viene fornito da una collocazione inconsueta delle parole all’interno delle singole frasi.

La tramelogedia dell’Abele

Tra le tante innovazioni che l’autore recò al mondo della drammaturgia c’è l’invenzione della tramelogedia. Alfieri coniò questo termine per descrivere una delle sue ultime composizioni: l’Abele. L’opera venne pubblicata postuma nel 1804, e tratta un soggetto biblico. Fu definita tramelogedia in quanto si tratta di un genere ibrido tra il melodramma e la tragedia.

I personaggi al suo interno sono suddivisibili in due gruppi: i terrestri e i fantastici. I primi comprendono Adamo ed Eva, Caino e Abele, e figurano più spesso nelle parti tragiche. I secondi invece corrispondono ad esseri soprannaturali, tra questi troviamo anche Dio stesso e Lucifero con i suoi servitori, e compaiono soprattutto nei momenti legati al melodramma.

Ludovica Nolfi

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