Il rapporto tra il potere giudiziario e quello politico è compromesso, almeno agli occhi dell’opinione pubblica. Le accuse reciproche che si muovono i membri delle rispettive parti sono all’ordine del giorno. Ormai pare che l’indipendenza della Magistratura sia una strada impraticabile. A partire da Tangentopoli, proseguendo con le indagini e i procedimenti verso Berlusconi e arrivando all’accusa di sequestro di persona rivolta al leader del Carroccio, sorge il dubbio che le inchieste giudiziarie non abbiano natura penale ma politica.

La pessima reputazione della Magistratura deriva dai suoi pessimi risultati

L’articolo 112 della nostra Costituzione vincola il Pubblico Ministero ad intervenire nel caso di fatti qualificabili come reato. Tuttavia, negli ultimi anni, assistiamo a continue accuse nei confronti di politici. Sorge spontaneo il dubbio che la Magistratura patteggi per una forza anziché per un’altra, e svolga volutamente delle indagini nei confronti di alcune personalità.

Se ci approcciamo a questo argomento facendo riferimento alla storia, è impossibile non parlare della vicenda di Bettino Craxi. Questo leader politico, ha svolto la parte del cavallo di Troia (con dentro gli altri). È stato il capro espiatorio di un sistema che coinvolgeva gran parte della politica, non solo il Partito Socialista. Da li in poi il sistema politico ha iniziato a sgretolarsi a colpi di avvisi di garanzia, inchieste per corruzione e relative iscrizioni nel registro degli indagati di personalità politiche. Il dibattito è ancora attuale. Il caso Palmara, le inchieste su Matteo Salvini, l’indagine su Matteo Renzi e solo pochi giorni fa l’impasse giudiziaria che ha visto protagonista il Movimento Cinque Stelle.

Quando le toghe vanno in politica

Piero Calamandrei, che è stato uno dei fondatori del Partito d’Azione, sosteneva che “quando per la porta della Magistratura entra la politica, la giustizia esce dalla finestra”. Un’affermazione quantomai attuale. Bartolomeo Romano, professore ordinario di diritto penale nell’Università di Palermo, ha rilasciato un’intervista a un quotidiano, in cui si è detto contrario allo scambio di personalità tra politica e Magistratura. Secondo il giurista, anche se i magistrati godono di pieni diritti, e quindi possono candidarsi in politica quando cessano il loro mandato giurisdizionale, essi non dovrebbero poi pretendere di tornare a fare i magistrati. Infatti, ogni decisione verrebbe poi interpretata alla luce di una particolare corrente politica. Insomma, secondo Romano la toga che va in politica perde la sua imparzialità, e probabilmente le sue non sono solo congetture.

Michela Foglia

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