Bell hooks nasce in una cittadina del Kentucky da Rosa Bell Oldham, donna delle pulizie e da Veodis Watkins, portiere. Ha quattro sorelle e un fratello. Fa parte di una delle tante famiglie nere di classe lavoratrice e di estrazione proletaria. Per questo non può fare altro che iniziare a scrivere proprio a partire dalla sua posizione, dalle esperienze della famiglia e da ciò che osserva attorno a sé.

Femminismo nero e pensiero critico: le origini di una delle sue paladine, Bell Hooks

Essere circondata dalle donne della sua famiglia era per Bell Hooks fonte di grande nutrimento emotivo, spirituale e sociale. Non potrà contare su una presenza maschile ugualmente positiva però, poiché cresce con un padre che spesso agisce con violenza in famiglia. Il trauma vissuto la porterà anche a indagare sulla questione della mascolinità nelle comunità nere.

Il nome della scrittrice compare per la prima volta nel 1979 quando una professoressa pubblica un libro di poesie And there we wept e in copertina si legge la firma: bell hooks, tutto minuscolo. L’autrice si firma con uno pseudonimo preso dal nome della bisnonna, Bell Blair Hooks, di cui aveva grande ammirazione. Sceglie il minuscolo per affermare che le parole e i contenuti devono avere più importanza di chi scrive.

Bell Hooks, le prime pubblicazioni e le prime riflessioni

Muovendo i primi passi tra accademia e mondo culturale, bell hooks inizia a capire in quale profondo isolamento una persona di colore viva all’interno dei circoli di donne bianche. Si rende subito conto quanto, nei momenti collettivi, il tema della razza e della classe non vengano mai trattati. Perciò lei stessa prova farlo da giovane donna nera del Kentucky rurale quale è.

Nel 1981 pubblica il suo secondo libro, Ain’t I a woman. Black women and feminism, l’inizio di un lungo lavoro educativo. Con questo libro bell hooks inizia a mettere le radici a quello che sarà il suo pensiero e che la porterà a ulteriori riflessioni e critiche all’interno del panorama del femminismo nero.

Queste sono le prime di una lunga serie di pubblicazioni nelle quali la scrittrice affronterà principalmente le questioni di genere, razza, classe e i conflitti che queste generano a livello sociale.

Femminismo nero e pensiero critico al centro dell’opera di bell hooks

Lo scopo della hooks è quello di creare scompiglio per raggiungere quante più persone possibile. Inizialmente le sue idee non erano molto popolari e non venivano accolte facilmente nel mondo accademico. Nel tempo, però, il suo pensiero riesce ad acquisire valore perché oltrepassa i limiti dei testi teorici e ha la forza di diffondersi anche al di fuori delle università, tra persone che fanno attivismo, che si occupano di educazione, di violenza, di femminismo nero, di classi lavoratrici e di pensiero critico in genere.

Secondo bell hooks ciò che ha rallentato la forza della rivoluzione femminista è stata il suo essere “accademizzata”: erano solo le donne e gli uomini acculturati, per lo più bianchi, che si confrontavano tra di loro, protetti dalle mura fisiche e classiste delle università. E anche se bell hooks era in quelle stesse aule accademiche, veniva spesso tacciata ed esclusa in quanto giovane donna nera originaria del Kentucky rurale.

Le teorie femministe di bell hooks e la sua analisi della società

La hooks è una tra le prime studiose ad affermare che il fatto di essere donne non conduce necessariamente all’empatia con altri soggetti oppressi, ma è tutto più complesso. Denuncia il fatto che la divisione per generi è una truffa, perché il soggetto donna universale non esiste.

Il potere che viene conquistato da quei gruppi, da sempre ritenuti marginalizzati può diventare problematico. Questo perché gli individui possono cambiare e si possono trasformare, soprattutto quelli che da sempre hanno vissuto nella cattività in una società incapace di compassione.

Le teorie della hooks possono essere messe in pratica ovunque e sono accessibili a chiunque. Si deve partire dall’impegno di fare un lavoro reale di condivisione e confronto che è la parte fondante del vivere in collettività in una maniera non oppressiva.

Chiara Cremascoli