“Era tutto molto bello, su quella scaletta… e io ero grande con quel bel cappotto, facevo il mio figurone, e non avevo dubbi che sarei sceso, non c’era problema”. Una cassa di limoni, adagiata nella prima classe della nave. Era la culla, giaciglio di fortuna, di un pargolo abbandonato. Saranno le accoglienti braccia di un macchinista nero, addetto al carbone, del transatlantico Virginian, ad accudire il trovatello. Che altro non vedrà che le cabine del veliero, e la terra ferma dei porti dagli oblò. Tra il trastullo delle onde e delle note, per l’inverosimile talento per la musica che sarà la sua unica dote. “La leggenda del pianista sull’oceano” stasera in tv: “Una buona storia e qualcuno a cui raccontarla..“, garantirà la salvezza.
Il primo mese del primo anno del secolo. Questo il motivo del nome scelto per lui: Novecento. La testa calata sulla tastiera, capace di addormentarsi e sognare lì poggiato. “Il più grande solleticatore d’avorio dei sette mari“, intratteneva attorno a lui viaggiatori, uomini di stiva, nocchieri. Tutti incantati dal pianoforte incandescente, dal suo sguardo che mirava posti lontani, mentre le dita irraggiungibili, percorrevano una loro incomprensibile direzione. Chi guarda il film, avrà la stessa sensazione ondeggiante di chi viaggia in nave, lo stesso smarrimento dolce che dà l’alternarsi delle onde. Perché anche la macchina da presa, con i suoi continui rimandi, e sali e scendi, sembrerà cullare lo spettatore. Tutto è possibile grazie alla musica di Ennio Morricone, il collante di tutta la storia, l’ancora della narrazione.
Pianista sull’oceano, tempeste e danze
Novecento (Tim Roth), che per esteso fu ‘battezzato’ Danny Boodman T.D Lemon 1900 (dalla scritta che riportava la cassetta), avrebbe potuto scendere, attraversare la passerella per la prima volta, e guadagnare fama e celebrità nel mondo, per cui restava un perfetto sconosciuto. “Perdonami amico mio, ma io non scenderò”. Al protagonista bastava spiare l’universo che passava tra la prua e la poppa della nave, tra volti e costumi delle persone. La sua sensibilità non faceva cadere inosservato nulla. “Suonavamo perché l’Oceano è grande, e fa paura, suonavamo perché la gente non sentisse passare il tempo, e si dimenticasse dov’era e chi era. Suonavamo per farli ballare, perché se balli non puoi morire, e ti senti Dio. E suonavamo il ragtime, perché è la musica su cui Dio balla, quando nessuno lo vede. Su cui Dio ballava, se solo era negro“.
“La leggenda del pianista sull’oceano“, del 1998 di Giuseppe Tornatore e stasera in tv, è tratto dal monologo teatrale intitolato ‘Novecento‘ di Alessandro Baricco. Il più americano dei nostri registi, il siciliano attaccato alla sua terra, crea un film dalle molte bellezze: il fascino della sala-macchine, il pianoforte che pattina nella tempesta, la sfida musicale a colpi di jazz con Jelly Roll Morton, che termina con la famosa battuta “questa fumala tu, io non ne sono capace“. E poi la sigaretta accesa con le corde del piano. Si aggiudicò 6 David di Donatello, 6 Nastri d’Argento, 4 Ciak d’Oro e un premio ai Golden Globes per la colonna sonora, incassando 4,2 milioni di euro ai botteghini italiani.
Quando non sai cos’è, allora è jazz!
Tim Roth, appare sullo schermo dopo ben 45 minuti. Maestrie e scelte che solo Tornatore può permettersi. Si è allenato per sei mesi al piano solo per essere in grado di “fingere” di suonarlo. La posizione delle mani, la postura, l’uso del pedale e i movimenti, nulla lasciato all’improvvisazione. Atmosfere da inizio secolo, e personaggi che riportano agli emigranti, il peso di una valigia e quello dei ricordi appesi in un tutt’uno ad un braccio. “Sembrava che il mare ci cullasse. E mentre volteggiavamo tra i tavoli sfiorando lampadari e poltrone capii che in quel momento quello che stavamo veramente facendo era danzare con l’oceano. Noi e lui, ballerini pazzi e perfetti stretti in un torbido valzer sul dorato parquet della notte! Oh yeah!“. Lo stesso Tim Roth dichiarò: “Tornatore è una persona tranquilla, gentile e molto siciliano. Ma non dimentichiamo che nella Leggenda del pianista sull’oceanol’altro personaggio straordinario è Morricone, perché protagonista è la musica“. La colonna sonora, che il Maestro ha impiegato quasi un anno per la stesura, è composta da almeno trenta brani.
Ambientazioni fedelmente ricostruite all‘ex mattatoio in zona Testaccio a Roma. La progettazione degli arredamenti è stata affidata a Bruno Cesari, vincitore dell’Oscar per la scenografia de “L’ultimo imperatore“. La sagoma maestosa del transatlantico, con un solo fumaiolo, dipinto di nero in cima, con una striscia bianca e rossa, faceva capolino dalle locandine disseminate ovunque, fino a restare nella mente dello spettatore. Che, visionario o no, non la scorderà. Ma il transatlantico, a cui si ispira la nave di Tornatore, è esistito realmente, il Virginian. Varato nel 1905, e in attività fino al 1954, passò alla storia perché fu la nave in contatto con il Titanic la notte del tragico affondamento. Il Virginian ricevette il messaggio dal Titanic che aveva colpito un iceberg, e nonostante la sua posizione a più di 200 km di distanza, guidata dal Capitano Gambell, cercò, sfruttando la potenza dei motori, di arrivare in tempo per soccorrerlo. Fino all’interruzione delle comunicazioni, e messaggi interpretati erratamente, fecero pensare al Virginian che sul Titanic erano riusciti a mettersi in salvo.
La nave di Tornatore esisteva
Da qui nasce la storia de “La leggenda del pianista sull’oceano”: Max Tooney (Pruitt Taylor Vince), un musicista che ha lavorato sul Virginian, entra in un negozio di dischi e strumenti musicali per vendere la sua vecchia tromba. Prima chiede il permesso all’anziano proprietario di suonarla per l’ultima volta. Così suona il pezzo contenuto nell’unico disco inciso dal suo migliore amico Danny Lemon Novecento, da questi distrutto, ma che Max aveva recuperato e nascosto, a sua insaputa, nel pianoforte in prima classe del Virginian. Il vecchio, che ha trovato il disco dentro al piano, finito casualmente nel suo negozio, in un trasalimento dei sensi, riconosce la melodia. Si farà raccontare la leggenda..
L’imponente nave, ricostruita per il film, alta 35 metri circa, si poteva scorgere da svariati punti di Roma, durante le riprese. Mentre si poteva sognare a Cinecittà: lo storico Teatro 5, divenne la sala da ballo del Virginian, con una grande cupola di vetro stile Liberty e l’enorme lampadario a gocce. Si racconta che durante le registrazioni in mare, questo fosse irrimediabilmente mosso. Forse la chiave suggeritrice vincente, di quell’adagio dondolio che dirotta le scene.
Federica De Candia per MMI e Metropolitan Cinema